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La distanza fra un processo e un sequel del “Codice Da Vinci”

Massimo Bordin

Un'udienza sulla “’Ndrangheta stragista”, gli Illuminati e il Vaticano

L’udienza, svoltasi giusto un mese fa, mi era sfuggita, anche perché non aveva certo modificato il corso del processo, ma una volta ascoltata mi sono reso conto che se non l’avessi fatto avrei rischiato di perdermi qualcosa. Il processo, denominato “’Ndrangheta stragista” si svolge di fronte alla Corte d’assise di Reggio Calabria. Qui se ne è parlato più volte, è una specie di nuova puntata del processo sulla trattativa. Lo scorso 11 gennaio l’accusa ha sentito un ex gran maestro della massoneria, il professore Giuliano Di Bernardo, che fu a capo del Grande oriente italiano proprio dal 1993, anno chiave per il processo.

  

Oggetto della testimonianza l’inquinamento ’ndranghetista delle logge calabresi e da questo punto di vista l’accusa ha ottenuto quel che le serviva, visto che il teste lo ha confermato aggiungendo che proprio per quel motivo si era tempestivamente dimesso dal Grande oriente, fondando una nuova e più selezionata obbedienza massonica, che purtroppo dopo un po’ di tempo aveva riprodotto la stessa, chiamiamola così, disfunzione costringendolo ad abbandonare del tutto la massoneria. Qui siamo al punto perché l’indomito professore ha raccontato di avere fondato allora la “Accademia degli Illuminati”, argomentando che essi esistevano da prima dei massoni e potevano essere risvegliati – ha detto così – da chi avesse una particolare autorità iniziatica, di cui lui era stato dotato. È seguito un fluviale racconto di contatti fra Illuminati e Vaticano. Mi ero perso la conferma che la distanza oggi in Italia fra un processo e un sequel del “Codice Da Vinci” può essere un battito di ciglia.