Il mistero sulla morte di Imane Fadil dovrebbe chiudersi qui
Dagli esami non risulta nessuna traccia di metalli né di radioattività nel corpo della testimone chiave del processo Ruby. Ma il complotto è un elemento di cui certa opinione pubblica è insaziabile
Tutto era cominciato meno di una settimana fa con Imane Fadil, uno dei testimoni chiave del caso Ruby, morta in ospedale, l’autopsia non fatta, la procura di Milano che indagava e soprattutto la radioattività. Da quest’ultima passare al polonio è stato un attimo, così come posizionare in un tenebroso retroscena Putin, il sushi londinese fatale più di quindici anni fa al dissidente Litvinenko, e naturalmente come Puparo del grande complotto il Cavaliere. Ieri finalmente notizie certe da una autopsia tardiva. Il più banale arsenico era già stato smentito, ora c’è la certezza dell’assenza di tracce di radioattività. L’originario sospetto della procura su una anomala quantità di tracce di metalli nel corpo della giovane era già stato categoricamente smentito dal più accreditato laboratorio milanese in materia di sostanze tossiche come possibile prova di un avvelenamento. Manca purtroppo una diagnosi certa sulla morte di una persona così giovane. È certo un fatto raro, ma non impossibile. La stessa procura già da due giorni si mostrava meno sicura delle sue ipotesi e chi legge questo lo ha appreso ieri da una lettera di un cronista giudiziario che racconta fatti e non sceneggiature, Frank Cimini. Dunque la storia, in mancanza di sostanziose novità, dovrebbe chiudersi qui. Invece no. Il mistero e il complotto sono elementi di cui certa opinione pubblica è insaziabile. Scommettiamo che già oggi Repubblica avrà titolato “Si infittisce il mistero sulla morte della donna che sapeva troppo”?