Gli orsi bianchi credono al global warming?

Piero Vietti

Occhio ai "contenuti speciali".

    Leggiamo qua che Mitchell Taylor, esperto e studioso di orsi polari, è stato cacciato dall'associazione per cui lavorava da tempo, la Polar Bear Specialist Group, perché ha pubblicamente ammesso di non credere alla teoria del riscaldamento globale causato dall'uomo.

    Per rimanere in tema, in questi giorni ho visto "Earth", il film documentario della Disney (di cui vedete il trailer sotto) che racconta la vita sul nostro pianeta seguendo tre "famiglie" di mammiferi: una di orsi polari, una di elefanti e una di megatteri (balene). Il film è bellissimo, girato con tecniche all'avanguardia, le immagini sono impressionanti, a tratti commoventi. La cosa incredibile (visti i tempi) è che "Earth" non scade in catastrofismi, accuse all'uomo cattivo e produttore di velenosa CO2 o cose simili: fa vedere quanto è bello e unico nell'Universo il nostro pianeta, spiegando anche che i cambiamenti climatici potrebbero cambiarlo. Nessun messaggio tipo "dobbiamo fare qualcosa per salvare il pianeta", "ora o mai più", "l'uomo sta distruggendo tutto quello che avete visto", o altro. Chiaro, il vizietto di non raccontarla giusta fino in fondo ce l'hanno anche quelli della Disney, soprattutto raccontando la storia degli orsi polari.

    Procediamo con ordine: le immagini relative agli orsi polari ci mostrano una madre che esce dal letargo invernale con due cuccioli, insegna loro a camminare e poi va in cerca di cibo. Nel frattempo, racconta la voce narrante di "Earth", il padre è lontano, anche lui alla disperata ricerca di cibo per mamma e figli. Vediamo in questo caso le immagini di un orso che vaga sul ghiaccio da solo, fino a che, "dato che ogni anno il ghiaccio diminuisce" (cito a memoria) va alla deriva su un lastrone di ghiaccio ed è costretto a nuotare in mare aperto, lontano dalla riva, per cercare da mangiare. Finalmente arriva, sfinito e debole, su una spiaggia piena di trichechi. Prova a ucciderne qualcuno, ma il viaggio lo ha stancato e, colpito da una zanna di un tricheco, l'orso si lascia morire di fame. Intanto i figli sono cresciuti, e anche loro andranno incontro allo stesso triste e solitario destino.

    Una storia terribile, guardando la quale si ha l'impressione che i pochi orsi polari superstiti (in tutte le immagini ci sono solo questi quattro animali nel desolato paesaggio polare) siano ormai alla fine dei loro giorni, senza cibo e con il loro habitat sempre più piccolo. Mannaggia ai cambiamenti climatici, no?

    Poi però guardiamo i "contenuti speciali" del dvd, e scopriamo che è tutto finto: la troupe intervistata racconta di avere effettuato le riprese su di un'isola nota per essere molto popolata di orsi, tanto che avevano paura ad andare in giro "con tutti quegli esemplari maschi che vagano". Il "padre" dei piccoli orsi protagonisti non è il padre, ma più orsi avvistati nei mesi di riprese le cui immagini sono state montate per dare l'impressione che fosse sempre lo stesso.
    Il meglio però arriva adesso: mentre l'elicottero vola sull'isola del Polo nord, il regista vede un orso che cammina verso la riva. Lo segue. Quello entra in acqua e comincia a nuotare. "Non allargare troppo l'inquadratura – dice al cameraman – voglio che sembri in pieno oceano, mi serve per raccontare la storia" (cito sempre a memoria). La storia è quella di un povero orso alla deriva perché il ghiaccio sotto le sue zampe si è rotto per colpa dei cambiamenti climatici mentre cercava cibo per la sua famiglia. La storia per muovere le nostre coscienze è pronta, anche se un po' contraffatta.

    Nulla di grave, per carità. Come detto, il film non contiene tanta ideologia, e il fatto che nei "contenuti speciali" ci siano queste cose dice forse della buona fede dei produttori, certo è impessionante vedere come per convincere se stessi e gli spettatori della vulgata corrente, si è pronti a manipolare anche le immagini di un documentario. Peccato. 

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.