Non è una partita di calcio

Piero Vietti

Bell'editoriale di uno che se intende.

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    Da leggere questo editoriale di qualche giorno fa del climatologo del Cnr Franco Prodi apparso sull'Osservatore Romano. Qui potete leggerlo tutto. Di seguito vi riporto alcuni stralci significativi.

    E' forse utile riesaminare l'intera questione, in particolare l'obiettivo della guerra ai cambiamenti climatici, cercando di comprendere quale sia davvero il ruolo della scienza nell'impostare questa strategia, e se questa sia la migliore per il destino a lungo termine dell'umanità. Il problema nodale è valutare il livello attuale della conoscenza scientifica sul sistema clima e accettare la grande difficoltà di pesare l'effetto antropico - cioè causato dall'uomo - nel cambiamento del clima stesso. Questo deve portare a suggerire obiettivi e strategie completamente diversi, mettendo in primo piano l'assoluta necessità del rispetto dell'ambiente planetario o, per usare il linguaggio di Benedetto XVI, la salvaguardia del creato.

    Bisogna pertanto fare luce sulla situazione che si è venuta attualmente a creare fra scienza e politica, e soprattutto stabilire un rapporto corretto fra le due, perché questa relazione è cruciale in questo momento. L'Ipcc (Intergovernmental Panel of Climate Change) non rappresenta il luogo di crescita della scienza mondiale sul clima. L'Ipcc nasce alla fine degli anni settanta con l'Organizzazione meteorologica mondiale, che pensa al riscaldamento globale come pericolo imminente e costituisce un canale di scambio di opinioni tra la politica internazionale e le Nazioni Unite da un lato e la scienza dall'altro. Questa opportunità di scambio è però da troppi interpretata come il momento stesso in cui si fa la scienza del clima. E siccome il riscaldamento globale è dato per scontato, molti pensano sia giunto il momento di passare il testimone agli esperti di adattamento e di contenimento (adaptation and remediation).

    Il quadro realistico del livello attuale della conoscenza del sistema climatico non deve portare a divisioni fra catastrofisti e negazionisti come se si trattasse di una partita di calcio.

    Il clima è un sistema non lineare:  può quindi verificarsi una transizione forte in un breve periodo, e nel passato ci sono stati cambiamenti totali vissuti dalla Terra in periodi brevissimi.

    Si tratta di un'attenzione eccessiva, non proporzionata al livello vero della conoscenza scientifica, visto che lo stesso rapporto dell'Ipcc ammette il basso grado di conoscenza su tanti processi fondamentali. Per arrivare a una conoscenza del clima pari a quella che oggi si ha della meteorologia occorreranno almeno quarant'anni. La previsione climatologica affidabile è insomma una meta non ancora all'orizzonte.

    E' necessario riflettere sull'utilizzo delle risorse, sul rispetto dovuto agli esseri viventi, sulle possibilità che si aprono in un arco temporale che non è quello della politica, ma quello dei prossimi tre o quattro secoli.

    L'effetto sul pianeta è disastroso ed è già sotto gli occhi di tutti:  fiumi e acque sotterranee inquinati, metalli pesanti nei pesci che popolano anche gli oceani più remoti. La catastrofe della piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico lo ricorda drammaticamente. Un ambientalismo serio e planetario deve portare a summit preparati e basati sul rispetto del pianeta, incontri nei quali si cerchi l'unanimità sulla salvaguardia ambientale.

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    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.