I cattolici e la Libia
C'è confusione sotto il Cielo.
Che l'attacco ("male e tardi") alla Libia stia dividendo (quando non ribaltando) schieramenti e opinioni è un dato ormai abbastanza evidente. Mi colpisce in particolare l'incertezza della chiesa (intesa sia come gerarchie sia come teste pensanti nel popolo) in questi giorni.
Così se Bagnasco si è detto da subito favorevole al'intervento militare ("Il Vangelo ci indica il dovere di intervenire per salvare chi è in difficoltà", ha detto) e il quotidiano dei vescovi, Avvenire, in questi giorni è quasi spudorato nell'appoggio alla guerra ("chi si oppone all'intervento sotto egida Onu per proteggere i civili libici – e di conseguenza contro il regime di Gheddafi, inutile nasconderselo – sembra vittima dell'antica sindrome del gendarme", scriveva ieri Andrea Lavazza in prima pagina), altrove emergono – e ben motivate – perplessità non solo sulla modalità d'intervento, ma sull'intervento stesso. Che Avvenire non esprima la linea di tutti i vescovi non è una novità, ma a fugare ogni dubbio ci sono ad esempio le dichiarazioni del vicario apostolico di Tripoli, che oggi al Foglio dice che "fanno ridere coloro che dicono che l'intervento militare è per fini umanitari".
Ci sono poi associazioni cattoliche più o meno critiche come Pax Christi o la Tavola della pace, e chi, come Giorgio Vittadini, addirittura la definisce una "guerra sbagliata" in un intervento molto duro sul Sussidiario, quotidiano on line che fa riferimento a Comunione e Liberazione (lo stesso dove l'eurodeparlamentare cattolico Mario Mauro scrive che "le bombe di Sarkozy non risolvono il dopo Gheddafi"). Lo stesso dicasi per il quotidiano on line diretto da Vittorio Messori e Andrea Tornielli, La Bussola, dove da giorni Massimo Introvigne si chiede l'utilità di una guerra che non ha orizzonti chiari per il dopo Gheddafi.
Il tutto in un quadro dove la stessa Santa Sede non ha ancora espresso una linea decisa: a differenza di altre volte (come all'inizio dei conflitti in Iraq e Afghanistan, per citare gli ultimi in ordine di tempo), il Papa non ha detto un "no" o un "sì" decisi, ma si è "limitato" a dire di seguire "gli ultimi eventi con grande apprensione; prego per coloro che sono coinvolti nella drammatica situazione di quel paese e rivolgo un pressante appello a quanti hanno responsabilità politiche e militari, perché abbiano a cuore, anzitutto, l'incolumità e la sicurezza dei cittadini e garantiscano l'accesso ai soccorsi umanitari".
Ora molti cattolici hanno da tempo smesso di seguire il Papa su diverse cose, ma è chiaro che un giudizio più netto aiuterebbe a far fuori tante analisi spesso contraddittorie tra loro e ad aiutare giornalisti e opinionisti cattolici ad "amare la verità (un po') più che se stessi". Si badi, non sto facendo come quelli che sanno loro che cosa il Papa dovrebbe dire o non dire, ma rilevo che in una circostanza in cui la totalità dei fattori in gioco sfugge (la nostra conoscenza degli eventi in Libia è mediata fondamentalmente da Al Jazeera, che ha già detto e scritto tutto e il suo contrario), il giudizio da dare nel merito è più complicato e sembra che da parte dei pastori manchi una parola netta. Detto ciò, se questa presa di posizione ancora non c'è stata, ci saranno buone ragioni Oltretevere. L'impressione, sfogliando siti e giornali, è che il gregge sia un po' confuso. Forse non solo dal "silenzio" della Santa Sede, ma anche dalla perdita di realismo politico di tanti cattolici (vescovi compresi). O no?
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