4 maggio 1949
La squadra più forte del mondo decise di fermare la sua storia e di cominciare la sua eternità un pomeriggio di maggio di sessantadue anni fa, sotto la pioggia, schiantandosi su una collina della città che li amava.
La squadra più forte del mondo decise di fermare la sua storia e di cominciare la sua eternità un pomeriggio di maggio di sessantadue anni fa, sotto la pioggia, schiantandosi su una collina della città che li amava. Erano le 17.04 e l'aereo che riportava a casa il Torino da una trasferta amichevole in Portogallo non si accorse, per colpa delle nuvole basse che piagevano (già sospettando la tragedia?) sulla città, del muro della collina di Superga davanti a sé, a pochi minuti dall'atterraggio. Lo schianto fu un lampo. Poi silenzio. Di colpo i più forti di sempre non c'erano più.
Immaginate che ieri sera, dopo il passaggio del turno in Champions League, un incidente avesse spazzato via, spezzato via, il Barcellona di Messi e Guardiola. L'analogia è ancora pallida, però: il Torino negli anni Quaranta rappresentava molto di più di quello che il Barça rappresenta oggi: era uno dei simboli della rinascita di un paese devastato dalle guerre mondiale e civile, una sorta di speranza molto terrena per i ragazzini che sognavano la gloria dei campi di calcio. Era un calcio diverso, dicono spesso. E' vero, non so se più bello o più brutto, di certo più vero. E non è nostalgia retorica per il "calcio pane e salame", è la certezza che qualcosa di così simbolico e reale insieme nel calcio non si era (e non si è mai più) incarnato.
In quella tragedia il Torino (e un po' anche Torino) hanno messo radici, tratto linfa e respiro, ritrovato rabbia, lacrime e ragioni per lottare. Quando 27 anni dopo i granata vinsero di nuovo uno scudetto (il Grande Torino ne aveva vinti 5 di fila sul campo senza perdere mai in casa per quattro anni di seguito) la gente uscì dallo stadio e – un unico fiume umano – salì a Superga a salutare i Campioni. Come a dire loro "questo è vostro. Ci abbiamo messo un po', ma eccoci di nuovo grandi". Forse il Grande Torino è stato anche un paragone ingombrante, ma chi non ha tradizione e storia è già morto, per questo è invece stato soprattutto un esempio, forse anche un ideale.
Nel frattempo il loro stadio, il Filadelfia, è diventato cumulo di macerie, ancora in piedi grazie allo sforzo di qualche tifoso volontario, nel menefreghismo di una società e un presidente mai così lontani dal cuore dei tifosi, mai così poco granata. Di quel Toro c'è, ogni giorno che passa, un po' di meno. Eppure basterebbe poco, ne sono convinto. Nessuno chiede di tornare a quesi fasti, sarebbe irrealistico. Solo che la memoria venga onorata, dai giocatori sul campo e da una società che avesse in mente un barlume di programmazione. Invece non si vede nulla di tutto ciò.
Oggi la squadra salirà alla basilica di Superga per la tradizionale commemorazione. Sperare che leggendo quei nomi sulla lapide i giocatori si diano una svegliata forse è sperare troppo. Ma siamo del Toro, quindi siamo abituati a sperare l'impossibile.
P.s. Per quanto riguarda il pericolo annunciato di contestazione alla squadra da parte dei tifosi oggi pomeriggio, la penso come Paolo Pulici: "Il 4 maggio è una ricorrenza particolare che non va confusa con altre cose, ma soprattutto va rispettata. Chi non vuole conservare questo momento sacro per contestare, allora eviti di andare a Superga. Il tifoso vero sale per ricordare il Grande Torino".
Leggi Non c'è una via per capire il Grande Torino, bisogna venire qui a Superga un 4 maggio
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