Un film da non perdere. Diciassette anni dopo

Piero Vietti

Come si può amare un campione di uno sport che non ci piace.

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    Non sono, né sono mai stato particolarmente, appassionato di Formula 1. La considero – forse a torto – un ottimo aiuto per il riposino della domenica pomeriggio, o poco più. Ho gioito senza particolare emozione quando la Ferrari di Schumacher ha vinto il Mondiale dopo tanti anni, ho simpatizzato per Barrichello e smesso di seguirla del tutto con Alonso sulla Rossa.

    Come per tutto, però, c'è un eccezione. Ayrton Senna non era la Formula 1. Almeno non solo. Era molto di più. Era velocità allo stato puro, mistica al volante, fede in Dio al cambio gomme, nervi, cuore e testa a 300 km orari. Mentre la Formula 1 stava diventando elettronica, Senna la portò avanti di dieci anni almeno.

    Non seguivo tutti i Gran Premi, ma il 1 maggio del 1994 (non avevo ancora tredici anni) ero davanti al televisore. Ammalato, se non ricordo male. Non so più a cosa pensai quando la Williams guidata dal brasiliano si schiantò contro il muretto alla curva del Tamburello e si capì che improvvisamente Senna non c'era più. Diciassette anni dopo ricordo però dov'ero, ricordo la tv accesa in camera, i miei occhi incollati allo schermo e l'attesa per l'annuncio ufficiale – perché fino a che non lo avessero detto i medici io non ci volevo credere. E quando uno ricorda il giorno, l'ora e i particolari di un avvenimento vuol dire che è successo qualcosa di importante.

    Diciassette anni dopo è uscito un film documentario molto bello (già da qualche mese, scusate il ritardo, ma in Italia è uscito quasi in clandestinità) che mi ha rimesso di colpo davanti al televisore di casa mia, quasi tredicenne. Diciassette anni dopo ho capito perché amavo un campione di uno sport che non mi piaceva. Perché non era solo un pilota di Formula 1.

    Politicamente fuori dal giro, osteggiato dai potenti del circuito, diceva che l'avversario con cui si era divertito di più era un pilota di go kart, nella sua prima gara in Europa: "Lì non c'era politica, non c'erano soldi di mezzo, solo velocità allo stato puro. Lì ero felice". Un idolo in patria, un uomo che aiutò centinaia di migliaia di bambini a studiare con donazioni fatte in segreto (si scoprì solo dopo la sua morte che Senna aveva messo in piedi un'opera di carità impressionante per i bimbi delle favelas, con una fondazione di cui oggi è amministratore il suo nemico-amico di sempre, Alain Prost). Un uomo che capiva continuamente di non essere arrivato, non solo nello sport: "Nella Formula 1 andrò avanti fino a un certo punto, poi, con l'aiuto di Dio, voglio vivere la mia vita crescendo come uomo, sempre di più". Un uomo che intervistato in un programma televisivo di intrattenimento, alla domanda "che cosa desideri per l'anno nuovo?", rispose "voglio essere felice". E che andava più forte di tutti gli altri. Insomma, guardatevi questo film.

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    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.