Goodnight Irene

Piero Vietti

    Si torna dalle ferie e ci si imbatte subito in grandi esercizi di cialtroneria mediatica (e non solo). Per tre giorni tg e quotidiani (con quelli italiani che si sono particolarmente distinti) ci hanno terrorizzato spiegandoci che l'east coast americana stava per essere spazzata via da un uragano mai visto (e anche qua la colpa era ovviamente del global warming) e che New York sarebbe ripiombata in un terrore stile post 11 settembre. Poi Irene si è rivelata essere una tempesta tropicale, nella Grande Mela non ha fatto nessun danno (mentre non si contano i disagi portati dalla chiusura forzata della città). Al di là delle polemiche su Obama e Bloomberg, che non affronto qua, ho avuto la sensazione dell'ennesima fuffa mediatica, con il solito percorso, già visto mille volte:

    1. sta per succedere qualcosa (arriva l'uragano);
    2. i media urlano che sarà terribile ("portata storica", ha detto Obama);
    3. la gente si terrorizza, e quando la realtà è meno tragica di quello che ci avevano detto, ormai è tardi: quello che ci hanno fatto credere conta più di quello che è effettivamente stato, e la sensazione è di scampato pericolo dall'Apocalisse, pacche sulle spalle e proclami tipo: "che bravi che siamo stati a tenere testa alla fine del mondo".

    In tutto ciò non bisogna dimenticare lo spettacolo di chi per due giorni ha scritto su siti e social network che Irene sarebbe stata devastante e poi dopo ci spiega con sufficienza che "suvvia, mica era l'Armageddon".

    Facciamo così: la volta che il Torino dovrà affrontare il Nocerina in campionato, passiamo la settimana precendente la sfida a dire che il Nocerina è forte come il Barcellona. Poi, quando il Torino l'avrà battuta (speriamo), diciamo che il Torino è una grande squadra, perché per battere un team forte come il Barcellona ci vuole grinta, gioco e qualità tecniche superiori. L'importante è crederci.

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    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.