Il "popolo della rete" è un'invenzione dei giornali?
Negli ultimi giorni è nato un dibattito abbastanza acceso sulla questione #hashtag, "popolo-della-rete", tormentoni su Twitter e giornali che ne danno conto. E' un discorso nato dopo le elezioni di Milano vinte da Pisapia e i referendum di inizio giugno. "Tutto merito della rete!", gridarono alcuni. Cosa pensavo dell'argomento all'epoca l'ho scritto qua, anche se riconosco un ruolo ai social network, se non decisivo per la vittoria, quantomeno di "operazione simpatia" molto funzionale.
Da allora il giornalista collettivo pigro (e on line) ha cominciato a far diventare di colpo ogni argomento un po' "trend" su Twitter la voce del "popolo della rete". Come ho scritto qui, il giochino del giornalista di turno che deve riempire dello spazio (e possibilmente farsi linkare, retwittere e cliccare) è di prendere un po' di tweet su un certo argomento, riportarli, e aggiungere qualche luogo comune sui "tormentoni", "la mania che impazza sul Web" eccetera. Articoli che lasciano il tempo che trovano e che, secondo me, hanno una valenza di poco superiore a un ipotetico sondaggio che un giornalista potrebbe fare nei bar del suo quartiere.
Voglio sottolineare, perché forse non si era capito, che la mia "polemica" è contro l'uso che i giornali fanno dei tweet, non contro Twitter, strumento che io uso moltissimo sia per segnalare fatti, notizie e curiosità, sia per seguire chi secondo me ha cose interessanti da dire. Non dico, come mi scriveva ieri Cristiana Raffa, che Twitter è uguale al bar sport, ma che articoli come questo lo trattano come tale. Ripeto: sono convinto che Twitter sia strumento fondamentale, soprattutto per tenersi informati (anche per cazzeggiare, ma in quel caso non è fondamentale), e che – come scrive qui Giovanni Boccia Artieri – consenta a molte persone di far sentire la propria voce là dove prima non potevano, (anche se contesto il fatto che questa voce debba per forza finire su un quotidiano per il semplice fatto che "lo dicono su Twitter"); ma credo anche che sia sbagliato trattarli per quello che non sono, un condensato dell'opinione pubblica, uno spaccato del comune sentire, il tutto raccontato con retorica e luoghi comuni da brividi. Si pensi che, fattore non secondario, in Italia gli utenti che hanno un account su Twitter sono ancora pochi, pochissimi, e spesso a creare i tormentoni sono sempre gli stessi. Trattarli come opione pubblica continua a puzzarmi di operazione di bassa leva fatta dai giornali per avere qualche clic in più, sembrare "gggiovani" (se citi i social network sei un figo, no?), e cercare consenso alle proprie tesi (misteriosamente i trend topic di cui scrivono i quotidiani sono sempre gli stessi).
Mi auguro che Twitter cresca sempre di più, continuando a essere palestra di libertà di opinione per tutti. E anche per questo storco il naso quando vedo che i giornali tentano di impossessarsene per dare sostegno a questa o quella loro idea. Lasciateli sulla rete, non imprigionateli sulla carta (o sulle pagine on line dei quotidiani, che è quasi lo stesso) sotto un titolo dato da un giornalista pigro che non aveva voglia di lavorare.
AGGIORNAMENTO: Mi ero perso questo post di Fabio Chiusi, il Nichilista, che mi sembra centrare in pieno la questione.
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