Greenpeace, una protesta fuori dal tempo

Piero Vietti

Le strane certezze degli attivisti.

Segui Piero Vietti su Twitter

    Nei giorni in cui a Durban non si sta decidendo nulla per il futuro del pianeta, Greenpeace ha deciso di farsi sentire con una protesta davanti a Palazzo Chigi, a Roma. Dalle agenzie:

    Questa mattina, all'alba, gli attivisti di Greenpeace sono entrati in azione davanti a Palazzo Chigi per sollecitare la politica a compiere un'inversione di rotta sul tema dei cambiamenti climatici. Due ambientalisti hanno scalato due lampioni davanti al palazzo sede del Governo con il messaggio: "A Durban salviamo il clima". Altri hanno aperto in piazza Colonna un grande striscione con una foto della tragica alluvione di Genova dello scorso 4 novembre e il messaggio: "Il clima cambia. La politica deve  cambiare".

    Da qualche giorno Greenpeace sul suo sito invita a mandare queste cartoline prestampate al ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, in vista del suo intervento alla conferenza di Durban. Greenpeace sostiene una cosa semplice: il riscaldamento globale è un'evidenza, la colpa è dell'uomo, il clima cambia e gli eventi atmosferici estremi sono violenti proprio per questo: diciamo basta a tutto ciò. Ora, l'attivismo è attivismo, ma spacciare per verità scientifica un collegamento che nemmeno gli scienziati più agguerriti danno per certo, è un po' troppo.

    Sì, perché persino i premi Nobel dell'Ipcc hanno ammesso, nel loro ultimo report che c'è "low confidence" circa la possibilità che determinati eventi estremi siano aumentati e che comunque siano causati dalle attività umane. Ora, se l'Ipcc (certo non un panel di scienziati negazionisti) dice che ci sono pochissime certezze, non si capisce da dove Greenpeace tiri fuori certe considerazioni.

    Per venire all'Italia, poi, l'argomento è ancora più scivoloso: a quanto pare non ci sono dati recenti che suffraghino quanto sostenuto da Greenpeace: l'ultimo articolo scientifico scritto sui trend delle precipitazioni in Italia è del 2004, ed è una review di un altro articolo (di Michele Brunetti et al.) del 1999. Cosa diceva quell'articolo? Che sulla maggior parte della Penisola il trend delle precipitazioni era di diminuzione generalizzata, con un aumento dell'intensità sulle regioni settentrionali. Un altro studio dello stesso periodo però, confermando il trend di diminuzione, parlava di aumento dell'intensità su Lazio e Sicilia. In parallelo, nel 2000 usciva l'ultimo studio significativo sulla desertificazione in Italia (basato su dati al 1995) da cui si desumeva che la desertificazione nel nostro paese aumentava perché le precipitazioni stavano dimunendo.

    Cosa si può dedurre da tutto ciò? 1) serve un lavoro serio di studio della questione; 2) i dati che abbiamo sono contradditori, se non per quello che individuava una dimunuzione delle precipitazioni.

    Ergo: su cosa si basano gli allarmi di Greenpeace?

    Un altro aspetto che non torna, poi, è l'utilizzo delle alluvioni di questo autunno (Genova su tutte, ma anche La Spezia, Messina e persino Roma) per dimostrare che il clima sta cambiando (ovviamente per colpa nostra) e che bisogna diminuire le emissioni di CO2 per fermare questo cambiamento. A parte la tenerezza che fa chi continua a sostenere che per evitare un'alluvione basta spegnere i Suv, mi colpisce il fatto che oggi i ragazzi di Greenpeace hanno fatto una manifestazione che avrebbe potuto essere uguale identica quarant'anni fa. Mi spiego: come già scritto da molti, nell'ottobre del 1970, Genova subì un'alluvione simile a quella di inizio novembre. Con una differenza: allora cadde molta più pioggia (950 mm) di quest'anno (365 mm), senza dimenticare gli 850 mm del 1822. Eppure allora Greenpeace non appendeva striscioni a Roma, anche se nel marzo dell'anno successivo proprio a Roma si parlava di problemi idrogeologici. Dal Sole 24 Ore del 23 marzo 1971:

    “In Italia c'è una frana ogni 27 ore e un morto per frana ogni 8 giorni, attualmente sull'Appennino tosco-emiliano sono in atto 600 frane”, questi i dati forniti dal Presidente dei Geologi durante una conferenza che si è svolta a Roma dal titolo: “Strategia della sopravvivenza”. L'evento ha fatto seguito all'appello rivolto dal Presidente del Senato dal Campidoglio allarmato dalla gravità della situazione che minaccia il mondo e il nostro paese in particolare.

    Curioso, eh? Sembra un articolo scritto in questi giorni. Quarant'anni fa però non si parlava di riscaldamento globale (semmai andava di moda, anche tra gli scienziati, parlare di glaciazione globale imminente), eppure i problemi erano gli stessi, a quanto pare. Insomma, se Greenpeace avesse srotolato striscioni con le immagini di Genova nell'ottobre 1970 nessuno se ne sarebbe accorto. I problemi che il maltempo crea in Italia non sono una novità e sono più dovuti alla conformazione del territorio (portato ai dissesti idrogelogici) e a un certo modo "allegro" di costruire strade e abitazioni, che non al riscaldamento globale. A meno che quarant'anni fa non ci fosse già il global warming e nessuno se ne fosse accorto.

    E' chiaro, per concludere, che fino a che in Italia non si faranno studi seri sul trend delle precipitazioni e di altri eventi atmosferici negli ultimi anni, il campo sarà libero per le incursioni di chiunque voglia dimostrare la tesi che più gli fa comodo, basandosi sulle impressioni che certe piogge o estati calde lasciano nell'immaginario della gente.

    In America, per fare un esempio, si sono presi la briga di studiare il trend dei cicloni tropicali. E hanno scoperto che non sono affatto aumentati, ma solo che creano più danni. E non perché sono più violenti, ma perché negli ultimi decenni l'uomo ha costruito più edifici, strade e abitazioni là dove i cicloni sono soliti abbattersi.

     Segui Piero Vietti su Twitter

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.