Ici e chiesa, qualche spunto per farsi un'idea

Piero Vietti

Cose da leggere su un tema che fa discutere.

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    Poiché un articolo da me segnalato su Twitter e Facebook ha scatenato con alcuni lettori e amici una discussione interessante, cerco di aggregare qui un po' di cose da leggere sulla questione Ici e chiesa cattolica per aiutarvi a farvi un'idea di che cosa c'è in ballo.

    E' tornata di moda la storia della chiesa che non paga l'Ici sugli immobili. Il Pd ha presentato una mozione firmata da una ventina di deputati, sostenuta a parole da un po' di esponenti del Pdl, per chiedere che vengano modificate le esenzioni da questa tassa per la chiesa cattolica. La campagna, cavallo di battaglia da tempo dei Radicali, ha trovato voce e ampi spazi su diverse testate che contestano "i privilegi del Vaticano", parlano di "mistero di Vaticano spa" (ma la cosa non è nuova, già ad agosto c'era chi contestava il "silenzio sui trucchi della chiesa", ma anche chi, pur non essendo cattolico, cercava di capire bene di cosa si stesse parlando).

    La tesi dell'accusa è presto detta. Cito dal Corriere di oggi:

    Il Concordato tra Stato e Vaticano del 1984 stabilisce che siano soggette al regime tributario ordinario le attività svolte da enti ecclesiastici diverse da quelle di religione e di culto. Invece, da quando venne introdotta l'Ici, nel 1992, essa fu esclusa per tutti gli immobili ecclesiastici che ospitassero attività considerate "particolarmente meritevoli". Dicitura ambigua sulla quale, su ricorso dei Comuni, è intervenuta la Cassazione, nel 2004, stabilendo che l'esenzione sarebbe dovuta spettare solo alle unità all'interno delle quali si svolga "un'attività effettivamente meritoria e legata al culto".

    I contestatori dicono che spesso e volentieri però alla chiesa basta mettere una piccola cappella dentro un albergo per farsi riconoscere come "attività effettivamente meritoria e legata al culto" e quindi non pagare la suddetta tassa. E' vero?

    Avvenire sta spiegando da qualche giorno che non è così, e che tale accusa ha radici ideologiche ben chiare. Sul suo sito il quotidiano della Cei ha preparato un dossier "contro la montatura" che raccoglie gli ultimi interventi pubblicati in merito. Il primo punto da mettere in chiaro, in effetti, è che la disinformazione sul tema fa passare l'idea che la chiesa non paghi in assoluto nessuna tassa sugli immobili. Falso, come spiega l'editoriale di oggi di Avvenire:

    La nuova campagna mistificatoria sulla Chiesa «rea» di non (voler) pagare l'Ici, fa segnare questa volta, accanto alle purtroppo solite macroscopiche falsità, un pericoloso salto di qualità, che tuttavia porta allo scoperto la vera posta in palio: colpire la Chiesa nelle sue attività assistenziali e di carità. Che poi non sono «sue», ma vanno a vantaggio degli strati meno abbienti della società. Per di più, dietro i campanili messi nel mirino, si vede il profilo dell'intero mondo del non profit. C'è insomma chi continua, come un disco incantato, a chiedere imposizioni fiscali che già esistono e vengono pagate da chi di dovere (chi non lo fa sbaglia e va sanzionato secondo la legge).

    Sarà per merito della campagna contro, fatto sta che i vescovi sono i primi a dire che le situazioni ambigue devono essere subito punite (lo stesso Bertone ha chiesto di fare chiarezza), ma sottolineano anche che per legge non è vero che basta una cappellina in un immobile per non pagare le tasse

    Per usufruire dell'esenzione tutto l'immobile deve essere utilizzato per lo svolgimento dell'attività esente; se in un'unità immobiliare si svolge un'attività rientrante nell'elenco unitamente ad un'attività che, invece, non vi figura, tutto l'immobile perde l'esenzione. Risulta così evidente l'assoluta falsità della denuncia che gli enti ecclesiastici "estorcano" l'esenzione inserendo una cappellina in un immobile non esente. In questi casi, infatti, l'intero immobile va assoggettato all'imposta, compresa la cappellina che, autonomamente considerata, avrebbe invece diritto all'esenzione.

    Altro aspetto che nella cagnara di questi giorni si è perso: a godere di tale esenzione non sono soltanto i luoghi di culto della chiesa cattolica, dato che le esenzioni previste per le attività solidali e culturali svolte senza l'obiettivo di guadagnarci riguardano non solo la chiesa cattolica ma ogni altra religione che abbia intese con lo stato italiano e ogni altra attività non profit di qualunque ispirazione, laica o religiosa (dai sindacati alle associazioni sportive passando per i valdesi e i luterani).

    E' naturaliter altamente possibile che ci siano situazioni poco chiare, e che queste debbano essere risolte al più presto. Certo è però che, come spiega qui Chiara Minelli, professore straordinario di diritto canonico e diritto ecclesiastico alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli studi di Brescia, è stata creata una mitologia sulle esenzioni che, sostenendo che la legge è uguale per tutti, non tiene in considerazione quello che la legge e il diritto dicono, rendendo le proteste sbagliate "nel metodo e nel merito":

    L'esenzione dall'Ici è motivata dal fatto che i soggetti che ne godono svolgono attività di carattere non economico o attività di carattere economico caratterizzata da utilità sociale, rese in favore della collettività o di categorie di persone bisognose o svantaggiate. Questa utilità sociale è una finalità che lo Stato stima, ed è ragionevole il fatto che lo Stato e gli enti locali riconoscano che il vantaggio arrecato alle fasce più deboli e all'intera comunità sia superiore al mancato introito fiscale. Quando non configuri addirittura un risparmio di risorse: il più classico è l'esempio della scuola o degli ospedali.

    In sostanza: se io svolgo attività riconosciute dallo stato utili alla collettività (perché lo stato non è in grado di coprirle), è giusto che sia avvantaggiato, perché permetto allo stato di risparmiare, e di arrivare a cittadini più poveri o in difficoltà là dove il welfare nazionale non riesce ad arrivare (è il concetto di sussidiarietà). Quello che bisogna verificare è che l'attività in oggetto (albergo, mensa, scuola) sia effettivamente non profit, ma una volta fatto questo, perché chiedere che comunque venga tassato chi, pur non guadagnandoci, fa un servizio alla comunità?

    Qui, infine, potete trovare un bel po' di dettagli tecnici e risposte nel merito alle obiezioni più in voga in questi giorni. Da leggere attentamente.

    P.S. Ringrazio lettori, colleghi e amici che mi hanno segnalato i testi qui linkati e citati.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.