Twitter è come il maiale?

Piero Vietti

A leggere giornali, riviste e blog, sembra che non si possa fare altro che parlare di Twitter.

    A leggere giornali, riviste e blog, sembra che non si possa fare altro che parlare di Twitter. Spesso con risultati molto belli, più spesso banali, a volte grotteschi, altri inutili. Inutile lamentarsene, è il tic dei giornalisti: appena scopriamo una cosa siamo convinti di essere gli unici a poterne parlare, i soli ad avere capito tutto. "Te stai fermo lì che ti spiego io come si fa".

    Come in una gara a chi sputa più lontano, gli utenti più o meno famosi si sentono in dovere di istruirci tutti su come si sta nel mondo dei cinguettii, e più follower li seguono più si sentono investiti di questo compito. Ho sempre pensato che Twitter sia strumento fondamentale per chi fa questo mestiere (e non solo), che stia di fatto sostituendo le agenzie, che abbia seppellito i feed e che si appresti a farlo con i blog. Ho sempre pensato che sia stucchevole quando i giornali approfittano di qualche decina di tweet su un dato argomento per dire che "il popolo della rete" la pensa così o cosà. Credo che Twitter abbia in sé qualcosa di veramente rivoluzionario (al di là della retorica un po' gonfiata sul suo ruolo nelle vere rivoluzioni, dall'Iran all'Egitto), che crei nuove possibilità di rapporti, che allarghi la conoscenza, (che faccia perdere anche un sacco di tempo), che materializzi sul proprio cellulare dei salotti virtuali con cui commentare fatti e opinioni con persone anche lontanissime. Ma anche che non ci sia nessun bisogno che qualcuno ci metta sopra il proprio cappello. Né spiegandomi come devo fare a twittare né dicendomi che cosa devo ritwittare o cosa devo far diventare argomento di discussione a livello italiano o mondiale. Se voglio parlare di calcio invece che dei due ragazzi senegalesi ammazzati a Firenze posso farlo senza sentirmi additato come insensibile? Se voglio far gestire il mio account da un ufficio stampa posso farlo senza essere considerato poco autentico? (Obama, che viene sempre portato come esempio di politico che ha vinto grazie alla Rete, ammise pubblicamente di non avere la minima idea di che cosa fosse Twitter, dopo la sua elezione).

    Quando ho attivato il mio account di Twitter, più di due anni fa, non c'era nessuno a spiegarmi come fare e di cosa parlare. Ce l'ho fatta lo stesso. Capisco che la tentazione sia forte, che pur di avere un clic in più sul proprio sito si vendederebbe anche la propria madre e che parlarne in prima pagina sui vetusti giornali di carta faccia molto gggiovane. Ma 1) c'è modo e modo, e 2) non trattiamo Twitter come il maiale: qualcosa da buttare c'è (soprattutto i discorsi su Twitter – questo compreso, se volete).

    Ovviamente, sono su Twitter

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.