Errori di stampa?

Piero Vietti

La qualità vale più di 30 euro.

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    Qualche giorno fa abbiamo raccontato sul Foglio di come redazioni ed editori di tutto il mondo si stiano arrabattando per mandare avanti imprese – quelle giornalistiche – da anni alle prese con crisi di lettori, costi e rinnovamento dell'informazione. Luca Sofri ci diceva che l'errore di molti giornali, dentro alla "rivoluzione" ancora in corso, è stata quella di chiedersi "come facciamo a riscostruire le stesse cose di prima dentro a questa rivoluzione?". "Le stesse cose di prima" vuol dire ad esempio le redazioni elefantiache, con centinaia di collaboratori, inviati, redattori, vuol dire spese altissime per cose inutili, separazioni anacronistiche dei ruoli dentro le redazioni e molto altro. Tagli, ottimizzazioni e riorganizzazioni sono all'ordine del giorno da qualche tempo in molte testate italiane, che forse oggi pagano l'avere gonfiato un mercato oltre i limiti consentiti.

    In questo quadro mi ha colpito positivamente l'iniziativa di Errori di stampa, il Coordinamento dei giornalisti precari di Roma, che oggi ha presentato, davanti al presidente e al segretario dell'Ordine dei giornalisti, al segretario della Stampa romana e al senatore Vincenzo Vita del Pd, un censimento di come i collaboratori più o meno saltuari delle varie testate con sede nella Capitale vengono utilizzati.

    Personalmente diffido un po' delle sigle più o meno sindacali, né tantomeno amo la retorica sul precariato, soprattutto quando questa fa da foglia di fico alla pretesa di avere un lavoro fisso per il solo fatto di essere al mondo. Credo che il mercato debba selezionare, con garanzie e ammortizzatori adeguati, chi merita e chi no di fare questo mestiere (forse non tutti quelli che adesso vorrebbero farlo, ahimè). Eppure il lavoro di Errori di stampa mi pare libero da retorica, fotografa una situazione per certi versi imbarazzante ed è – incredibilmente – il primo di questo tipo. Quello che emerge, ad esempio, sono situazioni in cui alcuni giornalisti per raggiungere 1.000 euro al mese dovrebbero scrivere 40 articoli in trenta giorni (e sono costretti a masticare amaro perché tanto sanno che se rifiutassero ci sarebbe qualche altro disperato pronto a prendere il loro posto). Che ci siano molti precari personalmente non mi scandalizza (non credo si possano fare per tutti dei contratti a tempo indeterminato), peggio è invece vedere quanto poco vengano pagati e "utilizzati" senza alcuna garanzia (quando non devono comunque aspettare mesi o anni prima di vedere quei soldi).

    Ora, si tenga conto che questo censimento è stato autoprodotto, e di sicuro servirà un controllo più "ufficiale" di questi numeri (ma con tale finalità credo che sindacato e Ordine dei giornalisti fossero stati invitati alla presentazione), ma quel che è certo è che a chi prova a fare questo mestiere servono meno illusioni e più certezze. In un momento in cui i giornali stanno cercando di sopravvivere alla crisi, e in tanti dicono che sarà la qualità a salvarci, forse le testate dovrebbero puntare su quest'ultima, più che sulla quantità a basso costo. E la qualità, si sa, ha un suo prezzo. Sicuramente superiore ai 30 euro.

    Qui il tariffario delle maggiori testate nazionali e locali con sede a Roma compilato da Errori di stampa

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    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.