Quello striscione che non potrei più portare allo stadio
Storia di uno striscione che forse oggi non potrebbe esistere.
Qualche anno fa, quando frequentavo con più assiduità la curva Maratona e seguivo il Toro anche in trasferta, con alcuni amici avevamo preparato un striscione un po' becero, ma di sicuro impatto. Era la stagione 2001/2002. Si tornava in Serie A dopo qualche tempo, e come sempre l'obiettivo della stagione per noi tifosi era vincere il derby (impresa che non ci riesce da un bel po'). Lo striscione – scomodissimo da tenere, un improbabile tre aste sorretto di volta in volta da qualche volontario a caso in curva – esordì proprio al derby di andata. Era composto da una scritta e un disegno: la scritta era "Toro da monta", il disegno vedeva protagonisti un toro e una zebra, i quali mettevano in pratica il messaggio.
Portò bene, quello fu il derby del 3-3 (primo tempo cugini avanti per 3-0, secondo tempo folle con rimonta e rigore calciato alle stelle dai cugini al 90° grazie alla buca scavata sul dischetto da Riccardo Maspero), e ci accompagnò tutto l'anno. Credo di averlo ancora da qualche parte, forse impolverato (l'anno successivo, dopo una serie impressionante di sconfitte, decidemmo che portava evidentemente sfortuna e lo ripiegammo per non srotolarlo più). Ecco, tutto questo per dirvi che se avessi vent'anni oggi probabilmente non potrei portare quello striscione allo stadio. E sarebbe un peccato.
P.S. Come il mio non potrebbero forse comparire tanti altri striscioni che, penso soprattutto ai derby, hanno fatto la storia delle stracittadine con sfottò e controsfottò. Un sistema che aveva i suoi anticorpi naturali (memorabile il "Onore a gatto Silvestro" dei granata dopo il "Onore alla tigre Arkan" dei laziali), ma che oggi fa troppa paura a un potere che vuole sempre più regolamentare tutto nelle nostre vite, con la scusa di proteggerle. Un conto è fermare il tifo violento, un altro decidere cosa possiamo pensare quando andiamo a vedere una partita di calcio.
Il Foglio sportivo - in corpore sano