Quello striscione che non potrei più portare allo stadio

Piero Vietti

Storia di uno striscione che forse oggi non potrebbe esistere.

    Qualche anno fa, quando frequentavo con più assiduità la curva Maratona e seguivo il Toro anche in trasferta, con alcuni amici avevamo preparato un striscione un po' becero, ma di sicuro impatto. Era la stagione 2001/2002. Si tornava in Serie A dopo qualche tempo, e come sempre l'obiettivo della stagione per noi tifosi era vincere il derby (impresa che non ci riesce da un bel po'). Lo striscione – scomodissimo da tenere, un improbabile tre aste sorretto di volta in volta da qualche volontario a caso in curva – esordì proprio al derby di andata. Era composto da una scritta e un disegno: la scritta era "Toro da monta", il disegno vedeva protagonisti un toro e una zebra, i quali mettevano in pratica il messaggio.

    Portò bene, quello fu il derby del 3-3 (primo tempo cugini avanti per 3-0, secondo tempo folle con rimonta e rigore calciato alle stelle dai cugini al 90° grazie alla buca scavata sul dischetto da Riccardo Maspero), e ci accompagnò tutto l'anno. Credo di averlo ancora da qualche parte, forse impolverato (l'anno successivo, dopo una serie impressionante di sconfitte, decidemmo che portava evidentemente sfortuna e lo ripiegammo per non srotolarlo più). Ecco, tutto questo per dirvi che se avessi vent'anni oggi probabilmente non potrei portare quello striscione allo stadio. E sarebbe un peccato.

    P.S. Come il mio non potrebbero forse comparire tanti altri striscioni che, penso soprattutto ai derby, hanno fatto la storia delle stracittadine con sfottò e controsfottò. Un sistema che aveva i suoi anticorpi naturali (memorabile il "Onore a gatto Silvestro" dei granata dopo il "Onore alla tigre Arkan" dei laziali), ma che oggi fa troppa paura a un potere che vuole sempre più regolamentare tutto nelle nostre vite, con la scusa di proteggerle. Un conto è fermare il tifo violento, un altro decidere cosa possiamo pensare quando andiamo a vedere una partita di calcio.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.