Il confine di Roma

Marianna Rizzini

Un talk sulla città non mappabile, elastico che si tende fino al  pontile di Ostia, e poi ti rimbalza.

 

Roma e i suoi confini, Roma e le sue dimensioni, Roma “elastico che si tende” all’inverosimile, dal centro alla periferia e dalla periferia al centro, dal Gra al Tevere e ritorno, fino alle sue “colonne d’Ercole”, il pontile di Ostia, grande bordo dove è “vietato pescare e tuffarsi”, punto di arrivo e ripartenza da cui si viene “rimbalzati”, ributtati indietro nelle tante isole quasi impossibili da tenere legate: capita una sera di imbattersi (al Bea Cafè di Monteverde) in “Tom Tom Roma-mappe e confini di Roma moderna da Piranesi a Jeeg Robot”, talk (e appunti per un libro) del giornalista Stefano Ciavatta. Ed è un racconto della città vista e letta attraverso una serie di carte reali e immaginarie, antiche e nuove, tutte a loro modo imparziali, ché Roma in fondo non è mappabile: quello che può inghiottire può anche restituire, quello che cancella ridisegna. E ci sono, nelle mappe che accompagnano il racconto, le strade e i quartieri, i luoghi simbolo e quelli apparentemente senza storia, le suggestioni e le illusioni, la nostalgia e l’isteria e tutti i vari “big bang” attraverso cui la città è esplosa, ripiegandosi però su se stessa nelle zone “scansate”.

 

C’è infatti sempre una Roma che attrae e una Roma “che scansa”, dice l’autore, anche se forse è possibile trovare un filo che unisca i “puntini” che collegano idealmente l’“Appia” di Piranesi (acquaforte del 1756 che ritrae una città dalla strana atmosfera “tra Fellini e Terry Gilliam”) a quella moderna di “Jeeg Robot”, il film che ne sposta i confini ai margini di una periferia che non è più periferia. Che cos’è Roma? Dipende: Roma dei quartieri, Roma dei locali, Roma di vie che si riempiono di strani ristoranti-casinò e diventano suggestione di un altrove, come quel “Big Ben Cafè” sulla Tiburtina, forse incongruo forse no, messo com’è al limitare della cosiddetta “Borgata Dubai”, cinematografica terra di scommessa, cibo, prostituzione, macchine e strani personaggi (ne aveva scritto lo stesso Ciavatta su “Rivista Studio”, tempo fa, in un articolo sulla Roma “che vuole essere Las Vegas”, con le sue insegne stralunate e le mille pompe di benzine e i bar “illuminati di verde sporco” che, prima di cedere al kitsch, costituivano approdo delle notti con fame chimica).

 

A ogni mappa di “Tom Tom Roma” corrisponde una Roma che non può esaurire Roma: appena ne possiedi una parte te ne scappa un’altra, anche se ti rifugi nel centro storico – statico e stanco – a cui tutto torna e in cui tutto potrebbe di nuovo perdersi in caos, come nel riquadro grigio che interrompe il murale di William Kentridge lungo il Tevere (sul muro si legge “quello che non ricordo”). E se Roma può essere stata trasformata in cartolina dai soldati americani che nel 1944 si portavano via i cartelli stradali, Roma non può non essere, oggi, “solitudine forzata” e “magniloquenza”: nelle immagini di “Tom Tom Roma” tanti sono i confini solitari e magniloquenti, confini che velocemente perdono di significato. Era confine un tempo il Pincio, quando sotto ai suoi piedi brulicava la Roma di Irene Brin e della gallerie, di Palma Bucarelli e degli avanguardisti, degli atelier e dei cinematografari avventurieri che si spingevano fino a quella che pareva allora una trattoria “allo sprofondo”, la famosa osteria Menghi raccontata da Ugo Pirro. E’ confine la Balduina del “Sorpasso”, il Piper anni Sessanta e l’Acilia del “Califfo”.

 

Ma è confine la Ztl? Non si sa: lo è per ogni traversata in cui si passa “dallo sbrago all’avventura, dal risiko alla bohéme”. Poi ci sono i personaggi: la trans “Catwoman” che d’estate siede su un tronco a San Saba – e uno si domanda dove dorma, se in un alveare al limitare della città o ai Due Ponti o in case “con terrazzini con le infradito sporche di sabbia a Casalpalocco”; e poi Remo Remotti e “Mamma Roma addio”. Zerocalcare e il mammuth murale di Rebibbia. Pier Paolo Pasolini e Franco Califano e Nanni Moretti in Vespa. Mappa dopo mappa, non c’è mai una Roma che prevalga né uno stato d’animo che possa cancellarne un altro: Roma autoironica, Roma beffarda, Roma malinconica, Roma che si diverte, Roma che respinge, Roma affannata e Roma esaurita (letteralmente: non c’è più spazio), Roma sospesa tra due millenni e Roma che nel futuro non si sa come ci andrà (e ci hanno provato, gli studiosi, a fare studi, ma pare impossibile prevedere alcunché).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.