Barca alla deriva
Roma. C’è il dibattito sul referendum, e poi c’è Fabrizio Barca, già ministro ai tempi di Mario Monti, nonché mister Wolf risolvo-problemi (o ne creo?) del Pd post Mafia Capitale. Barca non voterà né Sì né No, si apprende, e ora gli chiudono pure la sezione Giubbonari. Capita dunque che l’ex ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca, nel bel mezzo del dibattito pre-referendario, e mentre a Roma-centro si consuma il dramma dello sfratto della storica “sezione” (dove Barca peraltro è iscritto), si palesi sul web, come ha ricordato Francesco Cundari sull’Unità.it, “l’invincibile renitenza di Barca a rispondere a un quesito, quale che sia, con un semplice monosillabo”. E dunque quello espresso e ribadito dell’ex ministro è, da un lato, un “forse”, spiegato con ragioni che la ragione non conosce in un articolo dal titolo “L’Elefante e il Cavaliere” in cui, con metafora dello psicologo morale Jonathan Haidt, Barca dà conto della difficoltà di prendere (e comunicare?) decisioni. Dall’altro lato, si apprende leggendo Barca su Twitter, il Nì potrebbe anche essere altro, e cioè astensione “inutile è non andare alle urne. Andarci e astenersi (con bianca e annullo è un giudizio)”.
Antefatto: Fabrizio Barca, l’uomo che come ministro di Mario Monti appariva non del tutto montiano, e come amico-nemico di Renzi è apparso non del tutto renziano (ma neppure anti renziano), in estate se ne usciva con una frase non immediatamente decifrabile: “Sto cercando di valutare in modo certosino tutte le parti della riforma. Non voglio affrettare il mio giudizio. Deciderò entro settembre”. Ma in settembre la decisione non arrivava. E l’ex ministro si dibatteva tra il Nì, il Forse, il “Sì ma” e il “Non proprio”; fino ad arrivare a un’astensione sognata, ma chissà se, alla fine, praticata. E Roma ora si ritrova un Barca sentinella del voto consapevole, talmente consapevole da risultare incomprensibile, come prima si era ritrovata un Barca sentinella del circolo Pd talmente responsabile da risultare irreperibile in natura: Barca era infatti stato incaricato, sotto la sindacatura di Ignazio Marino, in piena epoca Mafia Capitale e sotto la supervisione di Matteo Orfini, della cosiddetta “mappatura” delle sezioni democratiche a rischio, e alla fine ben ventisette circoli erano stati giudicati dall’ex ministro “dannosi”, dediti a una certa “fedeltà di filiera” e di fatto a rischio chiusura in quanto coacervo di vizi non sanabili.
Tuttavia non si era capito neanche allora se Barca fosse più mariniano, più orfiniano o più neorenziano, tanto più che ancora restavano sospese nell’aria, tra Via Giubbonari e Campo de’ Fiori, le parole del Barca del 2013, quello che, dopo l’esperienza montiana, e nonostante l’allure da professore di Economia lontano dal terra-terra partitico, si era messo a girare l’Italia per diffondere l’idea di una “mobilitazione cognitiva” dal basso (testo di riferimento: “La Traversata” di Barca medesimo, edizioni Feltrinelli, saggio-diario in cui l’ex ministro spiega la sua “altra idea di partito e di governo”, senza cedere a “catoblepismo”). Poi però il viaggio non portava i frutti sperati, e Barca si dimetteva dalla commissione per la Riforma del Partito democratico (conservando però la tessera del Pd perché, diceva al Fatto, “fuori dal Pd è peggio… Le masse popolari impoverite hanno visto scomparire completamente la parola Lavoro. I cittadini ai margini avvertono l’impotenza di chi governa e cercano il nuovo, qualunque esso sia. Hanno trovato il Nuovo due anni fa in Renzi. Ora ne cercano un altro”). Contro Renzi parlava, l’ex ministro, ma anche contro la minoranza dem: “Ragiona con la stessa logica di potere…”. E ora che non si capisce bene se si asterrà o no, attorno alla sezione Giubbonari che l’ha visto iscriversi s’affaccia un altro dubbio: dopo lo sfratto, butteranno o no per strada il frigorifero? (Virginia Raggi è avvertita).
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