Pippo è “unfit to lead”
Vero è che lo stellone s’è girato. Che c’è più casino qui che a Palazzo Grazioli. Vero è che giocare alle 12 e 30 è per noi eccitante come un testa a testa chiarificatore con Fitto.
Vero è che lo stellone s’è girato. Che c’è più casino qui che a Palazzo Grazioli. Vero è che giocare alle 12 e 30 è per noi eccitante come un testa a testa chiarificatore con Fitto. E che fra gli acquisti tutti italiani del mercato di gennaio di cui il capo va molto fiero, s’è glissato uno che di italiano ha il cognome e la capigliatura di Conte prima della cura, ma in realtà è argentino e sospettabile di complicità esterna in associazione mercenaria cugina: si chiama Gabriel Paletta e una sua colossale dormita ha fatto sì che Maccarone pensasse per un attimo di essere CR7 e l’Inter ci passasse davanti in classifica. Anche nel fisico siamo messi malaccio, i nostri si azzoppano a grappoli e mai guariscono del tutto, il che chiama in causa preparatori atletici e medici, e mai abbiamo potuto schierare la stessa formazione: però da quando in qua se un musicista è a casa malato, il direttore d’orchestra cambia spartito? Dunque la vera domanda è: Pippo è “unfit to lead”?
Non basta essere ossessionati dal calcio, sapere vita morte e miracoli anche delle serie minori, aggiornare migliaia di schede, preparare diligentemente le partite a tavolino o consultarsi con il saggio Tassotti per dare un volto preciso a una squadra: non basta essere o avere un computer per riuscire di primo acchito nella massima competizione.
Si vede a occhio che lui il campo d’insieme non lo vede, d’altronde non lo vedeva mai nemmeno prima e per buone ragioni: se è stato uno dei più spietati e decisivi attaccanti del Dopoguerra è proprio perché ha sempre puntato lo sguardo a una minima porzione di campo, alla luce tra la porta avversaria e la linea ideale del fuorigioco.
Per venti anni è stato una scarica elettrica che si innescava ad ogni triangolazione visiva utile, tutto quello che avveniva alle sue spalle gli interessava fino a un certo punto, fronte alla porta lo vedeva giusto con la coda dell’occhio nell’attesa che i compagni da dietro gli passassero palla al momento giusto. Dopo una vita da terminale ci vuole tempo per cambiare prospettiva, imparare a vedere in un istante tutto quello che succede in ogni zona del campo e a prendere le adeguate contromisure.
Il Foglio sportivo - in corpore sano