Papa Francesco (foto LaPresse)

Il Papa sfida i turchi (e l'islam) sul genocidio armeno

Giulio Meotti
Non solo la deportazione in deserti inospitali, ma una vera e propria rete di campi di concentramento e sterminio permise l'annientamento di un milione e mezzo di armeni, cristiani apostolici, da parte del governo islamico turco nel 1915. Eppure un tabù impedisce ancora di parlare di "genocidio armeno" a un secolo di distanza.

Non solo la deportazione in deserti inospitali, ma una vera e propria rete di campi di concentramento e sterminio permise l'annientamento di un milione e mezzo di armeni, cristiani apostolici, da parte del governo islamico turco nel 1915. Eppure un tabù impedisce ancora di parlare di "genocidio armeno" a un secolo di distanza.

 

Papa Francesco lo ha sfidato e si è preso gli strali della Turchia. Un tabù che aveva, forse, qualche ragion d'essere fino a quando la Turchia era stata un solido e fervido alleato di Israele e dell'occidente. Quella Turchia non c'è più. Perchè allora perseverare nella menzogna storica? Anche Israele, tre anni fa, ha violato il tabù e commemorato il genocidio armeno alla Knesset.

 

A Ras el Ain, sul fiume Khabour, dopo un'orgia con strage commessa dai ceceni, circa 150 armeni, uomini e donne si sono suicidati in una notte, ingerendo oppio alcuni, altri buttandosi in acqua. Di simili episodio è piena la memoria armena. La fame, insieme con il tifo, la fatica e le pessime condizioni igieniche, fu lo strumento di morte preferito. Numerose le testimonianze di bambini che frugavano fra lo sterco dei cavalli per cercare grani d'orzo da pulire e mangiare. Ma quando i "sistemi naturali" si rivelavano troppo lenti si ricorreva ad altri metodi. Acqua, fuoco, bastoni, pietre, spada e dinamite; e infine le cartucce, meno utilizzate perché più costose. Fu una porta spalancata sull'orrore.

 

Fra gli ufficiali turchi il più efferato fu Zeki Bey, "il macellaio di Deir ez Zor". Vedendo quanto numerosi erano i deportati, gridava: "Perché si lasciano questi cani vivere qui? Perché non sono sterminati?".

 

Del milione e 800 mila armeni viventi nell'Impero Ottomano, un terzo fu deportato e morì, un terzo venne massacrato, l'ultimo terzo riuscì a fuggire, trovando rifugio all'estero. Cosi un califfato decrepito, alla vigilia della propria scomparsa, risolse radicalmente la "questione armena" con l'eliminazione fisica. Solo Hitler, e per certi versi Stalin, avrebbero fatto di più e di peggio, dimostrando il grado d'infamia del XX secolo.

 

E noi non dovremmo oggi parlare di "genocidio"? Proprio ora che un altro califfo sta ripulendo il medio oriente degli ultimi cristiani?

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.