La réclame della moschea sgonfia l'utopia dell'islam à la francese di Valls
Roma. Il cardinale arcivescovo di Parigi, mons. André Vingt-Trois, l’aveva detto per tempo: “Non si fabbrica una religione per via amministrativa”. Ce l’aveva, il presule, con la proposta lanciata dal primo ministro Manuel Valls nelle settimane successive alla strage nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo di creare una sorta di “islam di Francia” attraverso l’inaugurazione di corsi di islamologia nelle università del paese. Rendendo così la religione coranica compatibile con la sacra laïcité cara ai figli della Marianna. “Nessuno riuscirà mai a far rinunciare le persone a ciò cui credono con il pretesto che la repubblica è atea”, aveva chiosato Vingt-Trois. E i fatti di questi giorni gli danno ragione. Sid Ahmed Ghlam, l’uomo che – munito di giubbotti antiproiettile e arsenale da guerra in casa – stava per colpire due chiese a Villejuif dopo aver ucciso una giovane donna a bordo di un’automobile, trascorreva infatti diverse ore al giorno nella moschea di El Fath, a Saint-Dizier. Lì, insegnava arabo “a uomini e donne”, ha detto la sorella ai media francesi, giurando che il fratello “non è un terrorista e rispetta le donne”. A dimostrazione della tesi, indicava che lei il burqa – magari del tipo in vendita nei negozi di St.Denis, prima periferia parigina – non lo indossa.
Una moschea conosciuta, quella di Saint-Dizier, che al di là del nome (El Fath significa “la conquista” nella lingua del Profeta), era considerata luogo di dialogo e quindi estranea a ogni forma di radicalizzazione e contagio estremista. Conforme, cioè, agli standard indicati da Valls in vista della creazione dell’islam à la francese rispettoso dei princìpi della République, dei valori dell’Illuminismo e dello spirito rivoluzionario del 1789. Ma è bastato buttare l’occhio sulla vetrina online della moschea, su Facebook, per accorgersi che le cose stanno in altro modo. Si prendano i manifesti-réclame messi in rete: il più sobrio assicura che “gli ebrei vi combatteranno, ma voi sarete vittoriosi”. Il più macabro avverte che “nella tomba tu non sarai né marocchino né algerino né tunisino né altro. Tu sarai o musulmano o miscredente”. Infine, una dotta riflessione di Umar ibn al Khattab, secondo califfo che resse l’Umma per undici anni nel settimo secolo: “Sono sorpreso di vedere la perseveranza dei miscredenti nella fede e la debolezza dei musulmani” che, sottinteso, devono agire presto per ribaltare i rapporti di forza. Immancabile la sura 3, versetto 85, del Corano: “Chi vuole una religione diversa dall’islam, il suo culto non sarà accettato e nell’altra vita sarà tra i perdenti”.
[**Video_box_2**]Il primo ministro Manuel Valls, intanto, rassicura che dopo la fusillade a Charlie Hebdo “ben 178 luoghi di culto cattolici sono sottoposti a una sorveglianza speciale”. Se si considera che le chiese in Francia ammontano a circa 45 mila (numero superiore a tutte le sinagoghe e a tutte le moschee presenti sul territorio nazionale), si comprende che è come tentare di raccogliere il mare in un cucchiaino. Lo sa bene anche l’arcivescovo Vingt-Trois, che non si fa troppe illusioni circa la possibilità di garantire una protezione totale: “Ci sono luoghi che richiedono una protezione più continua”, ma è impossibile controllare tutte le chiese del paese. Attraverso l’attacco sventato a Villejuifs, ha sottolineato il cardinale, “si voleva colpire la Francia e una concezione della vita”. Il portavoce della conferenza episcopale locale, mons. Olivier Ribadeau-Dumas, ha auspicato in un’intervista a Radio Vaticana che la sorveglianza possa essere comunque incrementata: “Come si controllano le stazioni ferroviarie o gli aeroporti e si ferma chi possa risultare sospetto, così ci si può comportare per quanto riguarda le chiese”. A ogni modo, la ricetta è quella del dialogo, come qualche giorno fa ribadito in una Dichiarazione del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. “La prima cosa da sottolineare è che non si tratta di un conflitto tra comunità religiose. Quest’uomo, Sid Ahmed Ghlam, non agiva in nome dell’islam; agiva in nome della visione che lui ha dell’islam”, chiosa Ribadeu-Dumas.