Papa Francesco a riunione dei Capi Dicasteri della Curia Romana (foto LaPresse)

Cari vescovi, non servono i pastori-pilota né i documenti da studiosi

Matteo Matzuzzi
Un Francesco breve, conciso e pastorale alla “sua” Cei

Roma. Ai vescovi della Conferenza episcopale italiana riuniti a Roma per la consueta Assemblea generale di maggio, il Papa primate d’Italia ha raccomandato tanta “sensibilità ecclesiale” per realizzare “la nostra vocazione cristiana ed episcopale”, che “è quella di andare controcorrente”. Una sensibilità ecclesiale – espressione che ha fatto da fil rouge al conciso discorso, poco più d’una cartella A4 scritto in carattere Tahoma (ma il vero appuntamento strategico per la Cei sarà il Convegno ecclesiale decennale di Firenze del prossimo novembre) – che “comporta di non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori” e che, al contempo, ha scartato i giovani, “sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi”. Una sensibilità ecclesiale che, ha aggiunto Francesco, “ci fa uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la dignità umana”. Al centro della riflessione del vescovo di Roma anche l’esortazione affinché i laici si assumano “le responsabilità che a loro competono”. Il Papa ha sottolineato che, in realtà, “i laici che hanno una formazione cristiana autentica non dovrebbero aver bisogno del vescovo pilota, o del monsignore pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo”.

 

Quel che serve, ha detto, “è un vescovo pastore”. Una parentesi – che forse avrà rianimato il monsignore sbadigliante al canto del Padre Nostro – il Pontefice l’ha voluta aprire in merito ai metodi scelti per elaborare i documenti ufficiali, dove “non deve prevalere l’aspetto teoretico-dottrinale astratto, quasi che i nostri orientamenti non siano destinati al nostro popolo o al nostro paese, ma soltanto ad alcuni studiosi e specialisti”. La strada delineata, ancora una volta, è quella della collegialità e della comunione tra i vescovi e i loro sacerdoti; collegialità che “in alcune parti del mondo” è segnata da “un diffuso indebolimento” sia per quanto attiene “alla determinazione dei piani pastorali, sia nella condivisione degli impegni programmatici economico-finanziari”. A mancare è “l’abitudine di verificare la recezione di programmi e l’attuazione dei progetti”, e di certo non aiuta l’organizzazione di qualche convegno o evento che, “mettendo in evidenza le solite voci, narcotizza le comunità, omologando scelte, opinioni e persone”.

 

[**Video_box_2**]Semmai, sarebbe opportuno prendere atto che qualche istituto religioso, monastero o congregazione andrebbe accorpato e non lasciato invecchiare, “prima che sia tardi sotto tanti punti di vista”. Al termine dell’intervento, il Papa ha lasciato la parola ai presenti per “proporre riflessioni, idee e domande sulla Evangelii Gaudium – il tema dell’assemblea – e su tutto quello che volete domandare”. Nella tre giorni di riunione, i vescovi eleggeranno anche i delegati al Sinodo ordinario di ottobre sulla famiglia, atteso sequel dell’appuntamento che si è tenuto lo scorso autunno.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.