Il referendum che scuote la vigna
Roma. Il cardinale Walter Kasper, latore concistoriale della proposta per adeguare la pastorale cattolica in fatto di morale sessuale ai tempi d’oggi, garantisce al Corriere della Sera che al Sinodo dell’autunno venturo si parlerà di unioni civili. Tema su cui fino a oggi “si è taciuto troppo”, per cui è giunta l’ora di discuterne come si deve. D’altra parte, aggiunge, “l’ultima volta la questione è rimasta marginale ma ora diventa centrale”. E pazienza se, a poche ore di distanza, il cardinale brasiliano Odilo Pedro Scherer, membro della Segreteria del Sinodo, dichiarava alla Radio Vaticana che nell’Instrumentum laboris “non ci saranno novità”, visto che “le tematiche sono quelle che sono state già trattate nell’Assemblea straordinaria dell’anno scorso”. A riportare la barra al centro ci pensava il Papa, che dedicando l’ennesima catechesi del mercoledì alla famiglia, faceva sapere che “la chiesa, nella sua saggezza, custodisce la distinzione tra l’essere fidanzati e l’essere sposi” e che questa distinzione è stata preservata “per proteggere la profondità del sacramento”. Significativamente, Francesco ieri ha parlato del fidanzamento come “cammino di preparazione al matrimonio che va impostato puntando sull’essenziale: Bibbia, preghiera, sacramenti”. L’obiettivo finale, ha chiarito il Pontefice, è quello di riscoprire il valore del matrimonio cristiano, “che è alleanza d’amore tra uomo e donna”. Ma intanto il dibattito ferve, dentro e fuori le mura dei sacri palazzi. Il cardinale Pietro Parolin, segretario di stato, mette tutti in riga definendo una “sconfitta dell’umanità” l’esito del referendum irlandese, mentre qualche presule – come il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, alla Stampa – già avvertiva che “la chiesa non può interferire” in faccende quali le unioni civili tra persone dello stesso sesso. “Con tutto il rispetto, non darei troppa importanza alle dichiarazioni di monsignor Mogavero”, dice al Foglio il sociologo Massimo Introvigne: “Abbiamo letto le parole di Bagnasco e Parolin, mi pare che la maggioranza dei vescovi italiani si riconosca in queste posizioni, visto anche come sono andate le votazioni per le commissioni episcopali e per i quattro delegati al Sinodo (gli eletti sono Bagnasco, Scola, Brambilla e Solmi).
“Quel che è importante capire – dice Massimo Introvigne – è che una volta introdotte le unioni civili, si passerà poi inevitabilmente alle adozioni. Non lo dico io, ma la Corte europea dei diritti dell’uomo”, spiega. Il precedente c’è già, è la sentenza “X contro Austria” del 2013. In sostanza, si afferma sì che nessun paese è obbligato a introdurre nel proprio ordinamento il matrimonio o le unioni civili, ma che se lo fa poi non può più vietare l’adozione alle coppie omosessuali. “Sarebbe infatti una discriminazione rispetto alle coppie eterosessuali, e quindi sarebbe necessario adeguarsi”. Insomma, osserva il nostro interlocutore, “dire che si è favorevoli alle unioni civili ma non al matrimonio tra persone dello stesso sesso non ha alcuno spazio nella giurisprudenza comunitaria, e temo neanche in quella italiana”. Dalla lezione irlandese, insomma, si deve imparare che “la battaglia si fa ora. A Dublino la chiesa ha perso la sfida cinque anni fa, nel 2010, quando furono approvate le unioni civili. Se si vuole evitare che anche qui arrivino le adozioni e l’utero in affitto, bisogna fare in modo che non passi quel tipo di unione. Non si tratta di negare il riconoscimento di diritti a queste persone, peraltro già presenti nella nostra giurisprudenza. L’importante è non creare un nuovo istituto giuridico, perché a quel punto l’onda non si potrà più fermare”.
[**Video_box_2**]D’altronde, il caso irlandese fa da musa ispiratrice: “Quando si cominciò a discutere di matrimonio, le perplessità della maggioranza della popolazione si concentravano proprio sul capitolo relativo alle adozioni, perché lì – come in Italia – sono più i contrari che i favorevoli su questo aspetto specifico”, sottolinea Introvigne. “Per aggirare il problema, prima del referendum (il 6 aprile scorso) maggioranza e minoranza hanno approvato in Parlamento la legge sull’adozione omosessuale. A quel punto l’opposizione alle nozze gay era svuotata di significato: se il principale punto di dissidio erano le adozioni, e queste erano già legge, per quale motivo ci si doveva opporre ai matrimoni?”. Ecco perché “dico che la chiesa aveva già perso la battaglia”. Il pericolo, insomma, è che in Italia si segua la stessa strada: unioni civili e poi, a cascata, tutto il resto. Maquillage lessicale, come aveva dopotutto già fatto sapere il sottosegretario Scalfarotto quando disse che “le unioni civili non sono un matrimonio più basso, ma la stessa cosa con un altro nome. Per questioni di realpolitik”. Nessuno, chiosa il direttore del Centro studi sulle nuove religioni (Cesnur) al Foglio, vuole negare diritti garantiti sui quali gli italiani sono, in gran parte, favorevoli. Altra cosa, però, è passare alle nozze e di conseguenza alle adozioni. Per evitare tutto questo è indispensabile, dice, “fare il possibile per bloccare le unioni civili, che altro non sono che un matrimonio sotto altro nome”.
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