Salvare la Chiesa dal pensiero unico
Roma. Mobilitarsi per difendere i valori della famiglia va bene ed è ancora utile, a patto che ci sia “un obiettivo concreto, sentito da molta gente come importante e realizzabile”. Altrimenti, se in piazza si va con propositi fumosi, tenendo sottobraccio una sorta di cahiers des doléances da esporre alle folle, il rischio di fare un buco nell’acqua è alto. Il cardinale Camillo Ruini, per sedici anni presidente della Conferenza episcopale italiana e fino al 2008 vicario di Roma, commenta con il Foglio quel che avviene in Europa in tema di famiglia e difesa dei valori che la sottendono, a cominciare dall’esito del recente referendum irlandese che ha legittimato i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Per la manifestazione in stile Family day del prossimo 20 giugno, indetta per dire no a quella che Francesco ha bollato come “colonizzazione ideologica” che mina la famiglia, Ruini si augura “di cuore” che vada incontro a “un forte successo”.
Prima, una premessa d’obbligo che porta a Medjugorje. Il Papa, tornando dal viaggio a Sarajevo, è stato chiaro: tra non molto arriverà il verdetto sulle apparizioni mariane. Sul Corriere della Sera si è letto di una proposta firmata Ruini portata all’attenzione del Papa: “Proprio questo – osserva il porporato – mi è dispiaciuto: il titolo della notizia, ‘Ruini: la mia proposta su Medjugorje’. La proposta, o meglio, la relazione – o come dice il Papa lo studio – è una proposta della commissione, non mia personale. E la commissione l’ha consegnata alla congregazione per la Dottrina della fede, terminando così il proprio compito. Pochi giorni dopo, io ho portato la stessa relazione al Pontefice a nome della commissione. In realtà, abbiamo fatto per tutti e quattro gli anni un lavoro fortemente collegiale. E sarebbe molto meschino da parte mia – oltre che infondato – cercare di appropriarmene”.
A ogni modo, ci sono indiscrezioni che da tempo circolano anche in rete: si parla di un giudizio negativo ma che non può non tenere conto dei frutti visibili che l’albero di Medjugorje ha dato. “Sono indiscrezioni gratuite”, osserva il cardinale. “La commissione ha terminato i lavori nel gennaio dell’anno scorso, parecchio tempo fa. La plenaria della congregazione per la Dottrina della fede, che non si è ancora riunita, farà la sua valutazione, che penso verrà sottoposta al Santo Padre. Le notizie che escono ora sono soltanto supposizioni. Nessuno di noi della commissione può dire alcunché, perché il tutto è sub secreto pontificio. Il Papa ha detto che per ora si danno solo orientamenti ai vescovi, ma nel quadro delle linee che si prenderanno. Quali saranno, lo vedremo”.
Davanti ai risultati della consultazione referendaria in Irlanda, l’arcivescovo di Dublino, mons. Diarmuid Martin, ha osservato che quanto accaduto attesta un qualcosa di molto più profondo rispetto a un semplice risultato elettorale. E’ una rivoluzione culturale, ha detto. Siamo dinanzi davvero a un cambiamento di questo tipo?
“Certamente. In questi anni in quasi tutto il mondo occidentale si diffonde infatti qualcosa di radicalmente nuovo nella storia dell’umanità, e già questo dice molto: l’idea che persone dello stesso sesso possano contrarre matrimonio e avere figli, grazie alle nuove tecnologie. Anzi, che abbiano il diritto di farlo. Se pensiamo che il matrimonio è un’istituzione e una realtà antropologica fondamentale e decisiva – che in maniera sintetica ed efficace Giambattista Vico ha definito tanto tempo fa la ‘prima delle cose umane’ (la seconda per lui è la sepoltura dei morti) – si può capire quanto incisivo e profondo sia questo cambiamento. Certamente, si può obiettare, il matrimonio ha una storia molto lunga e varia, non c’è solo il matrimonio monogamico, ma anche la poligamia e, almeno nel passato, la poliandria. Ma il matrimonio tra persone dello stesso sesso è un’assoluta novità. Le parole più precise ed efficaci riguardo a questa novità le ha dette secondo me il cardinale Parolin: ‘Una sconfitta dell’umanità’”. Parole che però sono state equivocate e in qualche caso ritenute eccessive, facciamo notare. “E’ strano che si possano equivocare. Se c’è una frase chiara, è quella”, chiosa Ruini.
Viene però sottolineato come l’Italia sia l’unico grande paese dell’Europa occidentale (e uno dei pochi dell’Unione europea) che non contempla neppure le unioni civili. E’ un segno di arretratezza o, semmai, di resistenza? “Naturalmente, se devo scegliere, dico di resistenza, ma personalmente rovescerei la prospettiva. A mio giudizio, sono le cosiddette unioni civili, cioè in sostanza dei matrimoni senza il nome di matrimonio, a essere segno di decadenza; mentre il matrimonio tra persone di sesso diverso va nella direzione del bene dell’uomo e della donna, quindi nella direzione di un futuro positivo. Il cambiamento come tale non può essere considerato garanzia di progresso”.
Dieci anni fa ci fu la battaglia sulla procreazione medicalmente assistita. Fu anche una vittoria della Cei da lei guidata, che invitò all’astensione. Oggi sarebbe replicabile una mobilitazione del genere? “Anzitutto – dice Ruini – una premessa: non bisogna dimenticare che quel referendum non fu promosso dalla Cei né da chi voleva regolamentare la procreazione medicalmente assistita, bensì da chi voleva abrogare alcune norme stabilite dal Parlamento. Questa è la verità dei fatti. A ogni modo, le mobilitazioni possono riuscire quando c’è un obiettivo concreto, sentito da molta gente come importante e realizzabile. Queste sono le condizioni che consentono una vera mobilitazione”.
Ma ha ancora senso mobilitarsi con marce e sit-in organizzati e giornate-evento per contrastare disegni di legge che tendono a minare le fondamenta della famiglia? Non è che la società, anche tra gli stessi cattolici, è meno disponibile di un tempo a combattere civilmente sul terreno di quei valori cosiddetti non negoziabili?
“Le società occidentali, Italia compresa, sono sottoposte da molto tempo a una grande pressione, che c’era già dieci anni fa e ora è aumentata”.
“Si tratta – aggiunge il cardinal Ruini – di una pressione sia mediatica sia alimentata dai pronunciamenti delle magistrature, rivolta a cambiare le strutture fondamentali che reggono la famiglia. E’ da mettere in conto che questa pressione non sia priva di effetti, specialmente tra i giovani. Però, quanto all’Italia, sono convinto che la partita rimanga aperta e che la disponibilità a impegnarsi sia ampiamente presente. Spero poi di cuore che le iniziative che proprio ora si stanno prendendo su questi punti abbiano un forte successo, a cominciare da quella del 20 giugno prossimo”.
Di famiglia si è parlato e si parlerà abbondantemente anche il prossimo ottobre, quando a Roma si terrà il Sinodo ordinario, voluto da Francesco pochi mesi dopo l’elezione a Pontefice. Guardando le risposte date dai cattolici ai questionari pre-sinodali, si coglie una certa assuefazione a comportamenti non in linea con l’insegnamento della chiesa in campo morale. Non c’è forse, per la chiesa, la necessità di rivedere il proprio linguaggio e le proprie modalità di presenza nella società?
“Innanzitutto, un’osservazione: questa assuefazione c’è ma non è cosa nuova, esiste ormai da parecchi decenni. Pensiamo solo alle resistenze che incontrò la Humanae Vitae di Paolo VI. Con l’aiuto di Dio, la Chiesa potrà certamente fare di più e di meglio. In particolare, anche a me sembra necessario parlare di più il linguaggio dei giovani ed essere più presenti in mezzo a loro. Ma questo non si fa per decreto. C’è bisogno di persone motivate e capaci di farlo. Giovanni Paolo II e Papa Francesco, ciascuno con il proprio stile, hanno mostrato come il vertice istituzionale della Chiesa possa parlare ai giovani con efficacia e credibilità. Relativamente a Giovanni Paolo II sono stato per lunghi anni testimone diretto, per Francesco basta accendere il televisore per accorgersene. Sarebbe invece sbagliato e controproducente mettere il silenziatore alle esigenze del Vangelo, pensando di favorire così la sua accoglienza. Ce lo dicono sia la storia dei primi secoli del cristianesimo, che ha cambiato i comportamenti morali del mondo ellenistico-romano senza fare sconti sul messaggio cristiano, sia i risultati pesantemente negativi ottenuti, dopo il Concilio Vaticano II, nei paesi in cui si sono fatti invece troppi sconti non nella dottrina, bensì nella pastorale della Chiesa. Questo lo mostra chiaramente la situazione di alcuni paesi europei”.
[**Video_box_2**]Sul tema, poche settimane fa, si era espresso anche il cardinale Robert Sarah, prefetto della congregazione per il Culto divino, intervenendo al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia. Sarah metteva al centro dell’attenzione il modo in cui si insegna il catechismo ai bambini come spiegazione della scarsa conoscenza che c’è oggi riguardo la fede. Oggi, diceva, si passa più tempo a fare disegni che a parlare di Gesù. “Sono d’accordo con il cardinale Sarah, di cui ho ammirato moltissimo il libro ‘Dieu ou rien’, una grande testimonianza” (opera di cui il Foglio ha anticipato ampi stralci lo scorso 13 marzo, ndr).
Eppure, il dibattito sulla presenza dei cattolici nella società è vivo e travalica i confini europei. Il columnist Damon Linker ha scritto sul Week che molti social conservative americani iniziano a pensare di essere minoranza, e in conseguenza di questo c’è chi – come il blogger conservatore Rod Dreher – lancia la cosiddetta “Opzione Benedetto”: ritirarsi come fece il monaco di Norcia, mettendo in secondo piano le cosiddette culture wars, vinte o perse ma sempre combattute. E’ una necessità inevitabile data l’avanzata della secolarizzazione in occidente?
“Direi proprio di no. Rod Dreher sembra confondere istanze molto diverse. Benedetto di Norcia si è ritirato dal mondo non perché disperasse di convertirlo, ma perché cercava soltanto Dio e riteneva di poterlo trovare nel modo migliore nella vita monastica. La sua è stata un’intuizione, o meglio, una vocazione estremamente feconda e determinante per la storia della nostra civiltà. Non si tratta poi di fare ‘guerre culturali’, ma di esprimere la concezione cristiana dell’uomo, con le parole ma anche con la prassi di vita e con comportamenti concreti, tenendo sempre uniti la verità e l’amore del prossimo. Come non dobbiamo aggredire nessuno, così non dobbiamo assolutamente rinunciare a dire chiaramente la verità e a testimoniarla con la vita”.