Altro che Jeb Bush, a snobbare l'enciclica in America sono i vescovi
Roma. C’è Jeb Bush che fa sapere urbi et orbi di non farsene nulla dei consigli del Papa e c’è il senatore dell’Oklahoma, Jim Inhofe, che suggerisce al Pontefice, senza badare troppo al politically correct, di farsi gli affari suoi. Sono le reazioni – non le uniche – della destra americana alla vigilia della pubblicazione della summa ecologica di Francesco sulla cura della casa comune (presentazione fissata per oggi, nell’Aula Nuova del Sinodo, con parterre de rois tra eminenze, scienziati, professori). Tutto più o meno scontato, tanto che settimane fa il padre gesuita Thomas Reese, già direttore di America magazine, si chiedeva ironicamente se il leader repubblicano alla Camera fosse stato lucido nel momento in cui aveva spedito a Santa Marta l’invito per Bergoglio affinché parlasse al Congresso. Ma c’è un’altra opposizione, meno incline allo scontro aperto, che potrebbe creare più problemi circa la ricezione del documento papale in terra americana. E’ rappresentata dai vescovi statunitensi che nella recente assemblea primaverile hanno parlato di tutto tranne che di ambiente, come ha confermato al New York Times il cardinale Theodore McCarrick, arcivescovo emerito di Washington: “Nessuno ne ha parlato. Non capiscono la complessità della questione”. Qualcuno tra i presuli ha detto che prima di esprimersi bisogna attendere il testo ufficiale del Papa, mentre altri hanno osservato che la questione è controversa e che farsi un’idea in proposito è assai complesso. Altri ancora hanno invece messo in guardia da alleanze con gli ambientalisti, tra cui non sono pochi coloro che promuovono il controllo demografico come rimedio al sovrappopolamento del pianeta. Solo uno, l’arcivescovo di Miami, mons. Thomas G. Wenski, ha fatto sapere che per l’estate ha già pianificato una serie di omelie e conferenze stampa finalizzate a sensibilizzare i fedeli (e soprattutto i candidati cattolici alle primarie per la Casa Bianca) sui temi che saranno richiamati dal Papa.
A un seminario di questi giorni dedicato all’enciclica, hanno preso parte solo una quarantina di vescovi, sui duecentocinquanta che compongono la conferenza episcopale. E quando s’è trattato di stilare l’elenco delle priorità per il triennio 2017-2020, come unico riferimento all’ambiente s’è deciso di inserire un accenno alla “creazione di Dio”. Il resto era occupato da famiglia, matrimonio, evangelizzazione, libertà religiosa, vita e dignità umana, vocazioni sacerdotali. Un vescovo del Montana ha fatto notare che anche alla povertà era stato dedicato ben poco spazio. La bozza di lavoro è stata approvata con 165 sì e solo 14 no.
[**Video_box_2**]“I vescovi americani sono riluttanti a parlare dell’enciclica per due motivi”, spiega al Foglio Massimo Faggioli, storico del Cristianesimo alla University of St. Thomas: “Innanzitutto, va detto che la questione ambientale è divisiva per i cattolici americani, e quindi i presuli si trovano in una posizione difficile, visto che potrebbero non farsi capire dal popolo fedele. In secondo luogo, la chiesa statunitense è forte e ricca, e i soldi arrivano dai ricchi, da coloro che cioè sono per lo più contrari a trattare questi temi”. In sostanza, aggiunge Faggioli, “accettare il messaggio di Papa Francesco significa dar vita a una chiesa americana povera, cioè l’opposto di quel che è oggi”. Non c’è – nella maggioranza dei casi – una ostilità preconcetta alla questione ambientale, ma è difficile trovare un equilibrio con l’ostilità di chi finanzia quella chiesa. “E’ questione di risorse”, chiosa il nostro interlocutore. Poco probabile è comunque “uno scontro frontale”: “Chi non vorrà parlare del cuore dell’enciclica, si soffermerà su altro, a partire dalla condanna del gender e dell’aborto. Ma un rifiuto in toto del testo è da escludere”. Dopotutto, la linea ai conservatori d’oltreoceano pare averla già data il giurista di Princeton Robert George, in un messaggio postato online: “Leggere con rispetto quel che ha scritto il Papa”.
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