Ma quale "integrismo", quello è il problema dei nemici del Family Day
Al direttore - E’ vero, l’articolo di Maurizio Crippa non è un articolo su Comunione e liberazione, ma è un articolo sul libro di Massimo Borghesi che suppone di mettere cappello “sul pensiero del Gius” e, a quanto pare, marca già male in sede di presentazione quantunque ci dovremo sicuramente ricredere dopo una sua attenta lettura. "Integrismo" è il solo problema che non riguarda la piazza del Family day del 20 giugno e che invece riguarda gli avversari diretti e obliqui di quella piazza. Dedurre automaticamente un fare politico dal messaggio cristiano – un problema che Giuseppe Ruggieri affrontò in un pamphlet edito proprio da Cl non so in quale anno di grazia degli inizi Settanta – è tipico di quelle schiere evangeliche che faranno da cornice al gay pride 2015 e, in modi obliqui, di quei cattolici dei buoni sentimenti e delle buone maniere che, come Eugenio Scalfari, nei loro editoriali in dialogo con Io o con papa Bergoglio, trascinano con la fune il Vangelo sul palco dello spettacolo della correttezza politica.
E’ vero piuttosto che, finchè visse Giussani, Cl è sempre stata marchiata di integrismo. E’ altrettanto vero che spronando la sua gioventù alla battaglia e al paragone cristiano in ogni ambiente e in ogni dimensione, politica compresa, Movimento Poplare compreso, Formigoni compreso, Jaca Book di anni Settanta compresa, non per “integrismo” ma per concezione unitaria della vita umana, Giussani non ha mai avuto preoccupazioni di “teologia politica”, di “mediazioni” e di “distinzioni” che – galeotta fu la citazione di Crippa – ebbero invece intellettuali come Giuseppe Lazzati e cattolicesimo democratico a seguire. Il quale cattolicesimo tanto “distingueva” e altrettanto “mediava” in “autonomia”, che non ha mai perso l’occasione (clericale) di lanciare i propri professori sul ring della politica, delle magistrature e ai vertici dei grandi (e profittevoli sul piano dei redditti) apparati statali, lato sinistra e gesuiti di Bartolomeo Sorge (però venivano tutti da turni quinquennali di studi disperatissimi improntati alla “scelta religiosa”, “i poveri”, “la critica al potere”, “la promozione umana"). Gli intellettuali fanno sempre questa operazione di “mettere cappello”. Ma con Giussani sarà dura. Come ha intuito un mio caro amico del Foglio, perché "Giussani era un uomo all’attacco". Punto. Attacco di ragione, di senso, di affezione. Era un uomo unito e dell’unità. Avrebbe stretto la mano a Kiko Arguello e gli avrebbe chiesto, "cosa possiamo fare?".
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