“Fermare i terroristi impuniti”
Roma. “Dal 2000 il mondo ha assistito a una crescita vertiginosa del 500 per cento nel numero delle vittime causate da attacchi terroristici. In particolare, negli ultimi due anni, s’è visto un notevole aumento relativo al computo delle vittime innocenti cadute per mano dello Stato islamico e di Boko Haram”. E’ quanto ha detto, intervenendo alla sessione del Consiglio dei diritti umani sul tema degli effetti del terrorismo sui singoli e gli stati, mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore alle Nazioni Unite di Ginevra per conto della Santa Sede. “Nel 2013 – ha aggiunto – l’82 per cento di queste vittime è stato ammazzato in soli cinque paesi: Iraq, Afghanistan, Pakistan, Nigeria e Siria”. Il futuro, ha osservato Tomasi, è fosco: “Dovremmo essere chiari nel dire che questa situazione continuerà, e peggiorerà se le cause del terrorismo non saranno chiaramente e rapidamente affrontate dagli stati nazionali interessati e dalla comunità internazionale”. Lo scorso marzo, conversando con il portale americano Crux, Tomasi aveva sottolineato – in quello che agli osservatori d’oltreoceano era apparso come “un insolitamente schietto avallo all’azione militare” – la necessità di “fermare questo tipo di genocidio, altrimenti un domani ci chiederemo a gran voce perché non ci siamo mossi, perché abbiamo permesso che accadesse una simile terribile tragedia”.
“Quel che serve – aveva aggiunto il diplomatico vaticano – è una coalizione coordinata e ben organizzata che faccia il possibile per raggiungere un accordo politico senza violenza. Ma se questo non è possibile, l’uso della forza sarà necessario”. Una prospettiva resa ancor più necessaria se si considera “l’impunità di cui i terroristi sembrano godere”, che ha propiziato e continua a favorire quella che si può definire una “globalizzazione del terrorismo”. Tomasi ha parlato di effetto domino ben visibile sul territorio piagato dall’orda jihadista, a cominciare dal vicino oriente: una volta “negato alla persona il suo diritto alla vita, si abusa degli altri diritti fondamentali, incluso il diritto alla libertà di credo e di culto, il diritto di espressione e la libertà di coscienza, il diritto all’istruzione e il diritto di essere trattati con eguale dignità come ogni altro cittadino, nonostante la differenza di religione, di status economico e sociale, linguaggio o etnia”.
[**Video_box_2**]Di mezzo ci finisce anche il retaggio culturale di intere aree geografiche, e le immagini dei miliziani che dinanzi alla folla sbriciolano a colpi di piccozza alcune antiche statue del sito archeologico di Palmira, lo dimostrano. Da qui, la necessità di intervenire. La chiesa ortodossa copta egiziana, dopo la strage di soldati del Cairo nel Sinai, ha emesso un comunicato in cui – dopo aver definito l’esercito di Al Sisi “un pilastro della nazione” – ha ribadito “vicinanza e sostegno pieno alle forze armate”, impegnate “nella lotta contro le Forze del male che minacciano la sicurezza nella regione e nel mondo”. Nell’area colpita martedì scorso dagli attacchi contro le postazioni dell’esercito, ha riferito l’agenzia pontificia Fides, vivono quattrocento famiglie copte. Dall’estate del 2013, a causa dell’appoggio dato dal patriarca Tawadros II alla rimozione del presidente Mohammed Morsi, esse sono diventate obiettivo prediletto delle frange integraliste islamiche.