La chiesa nigeriana sfida Boko Haram esibendo i simboli cattolici
Roma. I miliziani di Boko Haram hanno ripreso a mietere vittime in diverse aree della Nigeria, a neppure ventiquattro ore dal proclama del presidente Muhammadu Buhari, che martedì aveva annunciato misure straordinarie per tagliare la testa nel più breve tempo possibile alla formazione terrorista che dal 2009 imperversa da un capo all’altro del paese africano. Il bilancio è di duecento morti solo negli ultimi sette giorni, poi altri 20 nella giornata di ieri. “La vita, per loro, è niente; non gli importa nulla della loro vita: è inutile. Prendono, però, altre vite, questo è il problema. Vanno in chiesa, vanno al ristorante, vanno al mercato, vanno a scuola e mettono le bombe. Ciò significa che la loro filosofia di vita è irrazionale”, ha detto alla Radio Vaticana mons. Ignatius Kaigama, l’arcivescovo di Jos, città nel cuore della Nigeria colpita domenica sera da due esplosioni che hanno provocato la morte di una cinquantina di persone. La prima è avvenuta in un ristorante situato nei dintorni della locale università; la seconda nella moschea del quartiere di Yantaya. Tra le vittime figura anche l’imam Sani Yahaya Jingir, alla testa di un movimento di milioni di seguaci da tempo schierato contro gli integralisti islamici. La bomba che l’ha fatto saltare in aria, secondo diversi osservatori, è una risposta al suo ultimo libro, “Boko Halal”, che significa “l’educazione occidentale è permessa”, e ha come chiaro riferimento spregiativo il nome del gruppo fondamentalista. Sempre domenica, a Potiskum, nello stato di Yobe, un attentatore suicida si era fatto esplodere nella Redeemed Christian Church of God, uccidendo cinque fedeli.
I vescovi locali, in questi anni, si sono appellati all’occidente perché intervenisse per arginare il dilagare dei miliziani di Boko Haram. Nei mesi scorsi, a fornire un quadro della situazione sul terreno era stato il vescovo di Maiduguri, la diocesi più colpita dall’orda fondamentalista, con le sue cinquanta chiese devastate e le centinaia di cristiani passati per le armi. “Tanti sono stati uccisi perché non si sono convertiti al’islam”, aveva detto mons. Oliver Dashe Doeme. “Negli ultimi sei anni, tra i settantamila e i centoventicinquemila cattolici sono dovuti scappare dalle proprie case”. Nel 2009, i fedeli della diocesi ammontavano a centoventicinquemila. Oggi sono al massimo sessantamila, forse anche di meno, ammette il presule. “Questi terroristi pensano che bruciando le nostre chiese e dando alle fiamme le nostre strutture distruggeranno il cristianesimo. Non succederà mai”, aveva aggiunto intervenendo a margine di una recente conferenze sulla persecuzione dei cristiani, ospitata in Spagna. “Presto, Boko Haram sarà un ricordo”, è la sua convinzione. Lo scorso febbraio, il cardinale John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, aveva parlato al clero di Milano su invito del cardinale Angelo Scola. Riguardo la situazione nigeriana, Onaiyekan aveva sottolineato che “non basta condannare Boko Haram, perché che cosa insegna l’islam nelle sue scuole in Nigeria? A non rispettare le altre religioni. Il problema, quindi, non è solo Boko Haram ma l’atteggiamento dei musulmani in generale che non rispettano le altre fedi. Come è emersa questa ideologia mondiale? Questo i musulmani devono chiederselo per porvi rimedio”.
Davanti alle stragi e ai raid di questi giorni, la chiesa nigeriana ha risposto con un documento promosso dal Comitato per l’educazione cattolica in cui si chiede a tutte le parrocchie del paese di far sì che “l’educazione cattolica sia cristocentrica e focalizzata sulla formazione integrale della persona”. Se a Maiduguri i cristiani vengono invitati ad abiurare la fede e a convertirsi all’islam per avere salva la vita, d’ora in poi “tutte le scuole cattoliche dovranno essere cattoliche nell’identità e nella fede”, e “i simboli cattolici dovranno essere visibili sia all’interno sia all’esterno degli edifici”.
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