La verità della storia
L’unico rapporto etico che si può avere con la grandezza (così anche con Cristo) è la contemporaneità. Rapportarsi a un defunto è un rapporto estetico: la sua vita ha perduto il pungolo, non giudica la mia vita, mi permette di ammirarlo… ma mi lascia anche vivere in tutt’altre categorie: non mi costringe a giudicare in senso deciviso”. Queste significative parole tratte dal diario di Kierkegaard possono identificare la singolare fisionomia cristiana del compianto Cardinale Giacomo Biffi.
Per questo ambrosiano divenuto arcivescovo di Bologna e cardinale della Chiesa Gesù è stato, anzitutto, quella presenza contemporanea capace di abbracciare e salvare, in ogni istante, la drammatica e affascinante esistenza di ogni uomo.
Giacomo Biffi ha dedicato la sua vita ad annunciare Gesù Cristo, Redentore dell’uomo, centro del cosmo e della storia. E l’ha fatto anche attraverso la riflessione teologica, ripristinando – per così dire – la figura del Vescovo Dottore che ha caratterizzato, lungo i secoli, i migliori pastori della Chiesa.
Uno scritto suggestivo ed esemplare
“Il primo e l’ultimo. Estremo invito al cristocentrismo” è uno dei testi più suggestivamente esemplari del pensiero e della scrittura di Giacomo Biffi. Il suo carattere peculiare, che ne denota anche la modernità e l’originalità, sta nel fatto di essere una estrema variazione sopra uno spartito più volte eseguito dal compianto presule: il cristocentrismo. L’ipotesi cristocentrica si apre ad affrontare argomenti non solo decisivi teologicamente, ma anche risolutivi dal punto di vista dell’esperienza cristiana come tale. Mi riferisco, tra gli altri, ai temi della predestinazione, della creazione, del fine dell’incarnazione, della preesistenza di Gesù. A essi si lega l’obiezione radicale di origine illuministico-romantica ma che, come un tarlo, continua a rodere anche la coscienza credente di molti cristiani di oggi: “Come superare il maledetto fossato che mi separa da Gesù Cristo?” (Lessing) se Egli fosse irriducibilmente legato alle coordinate spazio-temporali di duemila anni fa. Infatti solo se Cristo è presente a me qui e ora mi può salvare.
Perché il Cristocentrismo?
Una considerazione rigorosa dell’esperienza umana rivela la natura insuperabilmente drammatica di ogni singolo uomo. L’uomo può interrogarsi sulla sua essenza solo dall’interno della sua esistenza. Egli è da sempre sulla scena del gran teatro del mondo e non può decidere quale personaggio interpretare prima di recitarne la parte . Questa sua struttura drammatica o paradossale segna ogni atto di libertà che il singolo uomo compie. L’uomo è portato a interrogarsi sulla sua natura, che a prima vista appare enigmatica: ogni singolo esiste ma non ha in sé il fondamento del proprio esistere. Infatti egli non era, ora è, ma domani non sarà: è finito. Che essere è mai un simile essere se non un enigma?
Si può sciogliere l’enigma del singolo? Cosa c’è dietro questo enigma? Il nulla [Montale]? Dio? Se Dio, quale Dio che non sia una mia parola, un mio sentimento, una mia idea dal momento che, come impietosamente ha mostrato Heidegger, Dio non può essere l’ultimo anello della indefinita catena delle mie progressive inferenze. Dio non è il tappabuchi di un essere enigmatico. Allora ho bisogno di un quid, di un evento sublime, che documenti ad ogni atto drammatico della mia libertà che io non sono un enigma. Non uno che decida per me il mio dramma. Mi toglierebbe la libertà. Ma Uno che documenti che sono
drammaticamente libero e non sono “l’ombra di un sogno fuggente” (Shakespeare). Non sono un enigma. Questo quadro già per sua natura mosso, è poi offuscato dalla ferita storica del peccato originale le cui conseguenze, come singolo, mi porto dentro. Basti accennare, tanto è forte la sua eco in noi, alla drammatica affermazione di Paolo: “C’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo (tensione volere/potere); infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me” (Rm 7,18-21).
Ebbene, l’urgenza di annunciare Gesù Cristo, centro del cosmo e della storia, si pone proprio lungo questo asse che considera l’essenziale finitudine dell’uomo e la storica ferita dell’origine le cui conseguenze continuano a farsi sentire.
Chi scioglie l’enigma uomo senza predeciderne il dramma? Solo Uno (mi riferisco già ovviamente all’evento puramente grazioso di Gesù Cristo) capace di un atto così singolare di libertà nel quale tutte le possibilità della mia libertà sono state colmate. E lo sono state una volta per tutte (ephapax) perché lì, in quell’atto, la mia libertà è stata anticipata e colmata nella sua verità.
Ecco perché il Cardinale ha dedicato il meglio della sua riflessione a palare di Cristocentrismo.
Quale Cristocentrismo?
Giacomo Biffi ne ha dato una definizione rigorosa e, come sua consuetudine, limpida: “Il Cristocentrismo di cui vogliamo trattare noi è il convincimento che nel Redentore crocifisso e risorto – pensato e voluto per se stesso entro l’unico disegno del Padre – è stato pensato e voluto tutto il resto; sicché, sia per quel che attiene alla dimensione creaturale sia per quel che attiene alla dimensione redentiva ed elevante, ogni essere desume da Cristo la sua intima costituzione, le sue intrinseche prerogative, la sua sostanziale e inesorabile vocazione”.
E’ qui superata di schianto sia la cosiddetta “questione ipotetica” (senza il peccato di Adamo il Verbo si sarebbe incarnato?), sia quella del “motivo primario dell’incarnazione”. Appaiono come due pseudo-problemi. Ultimamente non c’è bisogno di ragioni per spiegare il disegno salvifico di Dio: Gesù Cristo stesso – quindi non un Cristo astratto, ma Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato, crocifisso e risorto così come ce lo mostra la storia di Gesù di Nazareth – esaurisce la motivazione sufficiente ed esclusiva di un’economia della redenzione che implica, senza surrogarla, la creazione-elevazione e della quale noi possiamo (solo a posteriori) rendere grazie.
Ogni tentazione gnostica è radicalmente scavalcata nel riferimento, rigorosamente scritturistico, al Verbum caro factum. Il cristocentrismo oggettivo non è una cifra ideologica da cui pretendere di desumere, come da un a-priori, il mistero, superando la finitudine umana e tanto meno eliminando dalla storia dell’uomo la tremenda incidenza del peccato originale e le sue pesanti conseguenze.
Né Biffi ha posto sullo stesso piano la dottrina dell’unicità e della universalità di Gesù Cristo redentore con quella che a lui sembra una necessaria affermazione teologica, ma che egli sa bene essere “solo” un’opinione: Gesù Cristo crocifisso e risorto è il centro del cosmo e della storia non solo in quanto unico e universale Salvatore e Redentore, ma anche perché è il Capo della creazione (Primo e Ultimo). Sulla scia della concezione lubachiana del soprannaturale, rivisitata alla luce della equilibrata scuola di Carlo Figini e Carlo Colombo, Biffi è partito dall’avvenimento di Gesù Cristo, il Verbum fattosi caro e caro peccati per affermare che “proprio per avere qualcuno da perdonare è stato chiamato all’esistenza un essere che, in quanto signore dei suoi atti, avesse la tremenda facoltà di decidere anche contro Dio; ma al tempo stesso è stato chiamato all’esistenza un essere che in tal modo consentisse all’amore compassionevole del Padre di realizzarsi e di dichiararsi come forza capace di vincere ogni male e come volontà di annullare ogni prevaricazione”. Qui si vede il Biffi coautore della più accurata edizione dell’Opera omnia di Ambrogio dal momento che è una acuta affermazione del grande vescovo milanese ad avere ispirato questa rigorosa e umile prospettiva cristocentrica integrale: “Grazie dunque al Signore Dio nostro che fece un’opera ove egli potesse trovare riposo. Fece il cielo, ma non leggo che ivi abbia riposato; fece le stelle, la luna, il sole, e neppure qui leggo che abbia in essi riposato. Leggo invece che fece l’uomo e che allora si riposò, avendo in lui uno al quale poteva perdonare i peccati”.
La libertà liberata
Nel riferimento alla misericordia si svela pertanto il nucleo centrale sul quale edificare la possibilità di riuscita di ogni libertà finita e dunque delle condizioni che le consentono di attuarsi come libertà libera (“Sarete liberi davvero”, Gv 8,36), assumendo la natura drammatica che la costituisce. Infatti il primato cristocentrico della storia rivela come la libertà di Colui che è il Primo e l’ultimo è quella libertà che non contraddice la presenza di Dio nella storia ma che anzi le corrisponde perfettamente. In questa corrispondenza sta la radice della giustificazione operata da Gesù Cristo (Entsprechung/Rechfertigung). Per questo essa garantisce a ogni singolo la possibilità di essere, in Gesù Cristo, quello che Gesù Cristo è già stato per tutti. Se si partisse solamente da una visione umanistica della libertà, considerandola semplicemente come la facoltà di applicare un puro concetto universale di una verità disincarnata, ci troveremmo di fronte allo scontro tra libertà e finitudine: la libertà sarebbe chiamata ad applicare ciò che la ragione indica come valore universale, ma il limite della sua finitezza la manterrebbe nella impotenza a raggiungere tale esito. La libertà non sarebbe più l’esaltante espressione del dramma dell’uomo, ma la beffarda e frustrante manifestazione del suo essere un insolvibile enigma. Invece se la rivelazione di Dio si dà in Gesù Cristo Redentore, centro del cosmo e della storia e Capo della creazione (Primo e ultimo appunto), l’elemento particolare, limitato, finito dell’umana libertà si rivela, sorprendentemente, come l’elemento in cui si può attuare effettivamente la libera azione di Dio. Non che Dio si renda limitato nel tempo, ma il tempo viene trasformato in possibilità di presenza della realtà trascendente di Dio. L’inquietante mistero del male può essere guardato in faccia, il male può essere perdonato, ma non giustificato: nessuno può togliere il male dalla vita dell’uomo, ma l’evento di Gesù Cristo offre la speranza di una salvezza. Essa, proprio perché non può essere prodotta dall’uomo, è oggettivamente in grado di alimentare, se accolta, il desiderio della vita, della felicità, del perdono. In una parola di quell’umana riuscita cui il nostro cuore anela.
L’eterno amore misericordioso di Dio non interviene per dissolvere in un orizzonte astratto il male dell’uomo, né per realizzare un azzeramento della sua memoria nel colpevole e nella vittima, ma si configura come un’offerta di rigenerazione fatta alla libertà dell’uomo. E’ l’intervento grazioso di Colui che, essendo fuori dal tempo, proprio per questo garantisce unità e senso allo scorrere del tempo. E lo fa proprio attraverso l’eterno atto di amore di Dio rivelato in Gesù Cristo morto e risorto, perennemente elargito nell’Eucaristia a ogni atto dell’umana libertà. In questo dono trova unità la dispersione del tempo umano. Questo dono ci dà la speranza di vivere (e morire) come uomini.
La vittima e il carnefice
Il riferimento alla tragica questione del male e del peccato mi spinge a concludere con un paradosso che è tuttavia assai attuale nel quadro geopolitico. Finché c’è un carnefice nessuno può parlare di verità della storia perché nessuno può sanare il male compiuto promettendo su questa terra alla vittima la beatitudine e al carnefice l’inferno. Tuttavia è altrettanto vero che già ora, nella storia, io posso dire che l’uno è un carnefice e l’altra la sua vittima perché, nel Crocifisso risorto, la Verità è già apparsa come la loro “giustificazione”: ridona alla vittima la dignità tolta, al carnefice consente di sapersi “carnefice” (quindi di non poter giustificare il proprio male) e di aprirsi eventualmente alla divina misericordia.
Cosa significa tutto questo? Significa che il tempo non trova la sua giustificazione e la sua unità in se stesso, nel suo essere pura durata cronologica, ma in quanto si configura come il luogo in cui la Verità apparendo si dona. E’ l’evento di Gesù Cristo, verità vivente e personale, che fa essere il tempo storia e storia di libertà. Il tempo diventa così il quasi-sacramento – mantenendo qui in tutta la sua pregnanza la necessità dell’analogia – dell’eterno. E non è per il puro riferimento all’al di là che la storia vive della speranza che Cristo ci ha rivelato, ma è in forza del fatto (Verbum caro factum) che, nella trama del tempo e dello spazio, il donarsi della redenzione rivela Gesù Cristo come centro assoluto del cosmo e della storia – il Primo e l’Ultimo – il Capo della Creazione.
Il Cristocentrismo proposto dal Cardinale Biffi è un’ipotesi teologica che conferma la bontà per tutti di vivere già fin d’ora come Gesù Cristo stesso ha vissuto per sperare nell’al di là del Suo Regno di pace e di giustizia definitive.
Di questa umanissima possibilità di vita il Cardinale Biffi è stato indefesso testimone. Queste le sue parole: “Percepire la presenza di Cristo, ascoltarne il respiro oltre la soglia, sperare che si riveli e ci riveli: questo è l’unico dono che ci è stato fatto”.
Angelo Scola è cardinale arcivescovo di Milano
Editoriali
Mancavano giusto le lodi papali all'Iran
l'anticipazione