Aggrappati al corpo del santo
Papa Francesco ha ottenuto che la sua richiesta fosse esaudita e così il corpo di San Pio da Pietrelcina sarà esposto in Vaticano per il Mercoledì delle Ceneri, il prossimo febbraio, dall’8 al 14, per il Giubileo della Misericordia, Anno Santo straordinario, nel giorno in cui il Papa invierà in tutto il mondo i Missionari della Misericordia, conferendo loro speciale mandato di predicare e confessare perché “siano segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in cerca del suo perdono”. E questa è la notizia.
Ha senso interrogarsi sui possibili significati dell’ostensione del corpo del santo? Sì, perché le due possibili risposte immediate, e diametralmente opposte, ci lasciano insoddisfatti. La risposta del mondo laico svilisce la pratica devozionale, arcaica, ciecamente distante dai mezzi della ragione e intrisa di una spiritualità immatura, degna di masse di capre ignoranti bisognevoli di deteriori forme di consolazione. La risposta del mondo religioso, invece, esalta la statura e la forza dell’esperienza di vita del Santo di Pietrelcina, e assume come un dato di fatto la sequela di milioni di fedeli e pellegrini, con un atteggiamento di autocompiacimento esclusivo che riduce il legame viscerale con Padre Pio all’ennesimo dogma.
Quando mi sono riavvicinato alla chiesa cattolica, dopo la lettura de “I fratelli Karamazov”, la figura di Padre Pio non mi piaceva per niente. L’immagine stessa del santo, e gli spezzoni dei filmati dei suoi ultimi anni di vita, mi restituivano un corpo stanco ed un viso arcigno, quasi cattivo, segnato da un aggrumarsi dell’espressione (labbra, guance, naso, fronte, occhi) in una smorfia disgustata di fronte al mondo. Quello che interpretavo come disgusto, mi allontanava, mi creava disagio e timore. D’altra parte, la mia scarsa conoscenza del fenomeno delle stimmate e la convinzione arrogante che la vera religione consistesse in un approfondimento interiore incessante, che poco o nulla aveva a che fare con segni esteriori, mi rendevano insofferente verso il frate cappuccino, in misura tanto più acuta quanto maggiori erano le folle, soprattutto popolari, che si riempivano le auto e i portafogli del suo ritratto.
Un profondo cambiamento della mia percezione di Padre Pio è derivato dalla visione del bel film interpretato da Sergio Castellitto. Provai un’emozione profondissima davanti alla scena delle stimmate, oltre che una inquietudine dolorosa, anzi, una vera e propria paura, per gli incontri con Satana nelle lunghe ore passate al confessionale. Negli ultimi anni, ho riconsiderato a fondo la bellezza, la forza e l’importanza della devozione popolare la quale, nelle sue espressioni più sane e vere, lontana da fenomeni di esaltazione di gruppo, affonda le sue radici nella comunicazione quotidiana con Dio e i suoi santi, comunicazione non mentale, non pensata, non mediata dal diaframma dei simboli, ma diretta perché, semplicemente, vissuta e praticata come un’esperienza di dialogo viva e tra vivi. Mi capita quindi di ritrovare una pace sicura e compiuta quando osservo nella mia parrocchia una signora sui sessanta dalla capigliatura biondo platino malamente tinteggiata, che veste panni troppo stretti per la sua età e il suo peso, passare cappella per cappella salutando i santi, fermandosi puntualmente davanti alla piccola icona di San Pio e sostandovi più a lungo che altrove, con parole gettate a mezza voce e fittamente dalle labbra, e l’immancabile saluto finale che consiste in tre carezze per niente delicate sulla barba del frate cappuccino.
[**Video_box_2**]Ora, la scelta di Papa Francesco di esporre le spoglie del santo in occasione dell’anno giubilare della Misericordia riveste l’esattezza perfetta dei simboli: la presenza del corpo del santo non solo sancisce la natura corporale della fede cattolica, edificata e continuamente scandita dallo scandalo dell’incarnazione, ma, connessa com’è alla funzione dell’anno giubilare, e cioè la ricerca e l’esercizio della misericordia, diventa segno e direi anche sigillo della vocazione più spiccata di San Pio: l’essere un instancabile confessore. Innumerevoli sono i racconti, gli aneddoti, i ricordi delle confessioni del frate: il suo rigore, gli accessi di ira, i momenti di tenerezza, sembrano prendere forma nel confessionale come se qui l’uomo e il servo di Dio esprimesse compiutamente la sua personalità, e la scelta di seguire il Cristo. Ecco, con questa scelta il Papa mette al centro un sacramento tra i più discussi e meno praticati dalla cristianità occidentale: appunto la confessione. Ogni volta che mi confesso, devo vincere grandi resistenze. Probabilmente perché mi sento oppresso dalla posizione della Chiesa rispetto alla omosessualità. E poi per molti anni la confessione, almeno per me, si è ridotta ad una precisa configurazione degli atti impuri compiuti dal punto di vista della vita sessuale. Tuttavia, superata la sessuofobia (instillata in primo luogo dal catechismo della chiesa cattolica, ahimè…), e le resistenze dovute all’eccessivo controllo della ragione sulle mie scelte, ogni volta che vado a confessarmi ne esco più leggero e rafforzato da una presenza che non viene da me, ma dalla gratuità di una sorgente che mi scorre accanto e dentro perennemente, pur tacitata dal frastuono delle cose inutili (così è accaduto nell’ultima confessione con un acuto, vitale e spontaneo frate francescano al santuario della Verna). Esporre il corpo di Padre Pio oggi è uno scotimento della coscienza, per tutti: è il simbolo di tutto quanto sbagliamo, come sacerdoti e come popolo di Dio, e di tutte le possibilità di grazia che avremmo invece la possibilità di godere nell’accedere al sacramento della confessione. Meditare l’avvio del tempo di Pasqua del 2016 davanti alle sue spoglie richiama ciascuno, credente e non credente, alla domanda fondamentale: abbiamo bisogno di misericordia, di perdono, di riconciliazione oppure no? E da dove deriva questo bisogno? E chi può soddisfarlo per sempre? Per il Santo di Pietrelcina la vita stessa, l’intera sua esistenza, è stato rispondere a tutte queste domande, facendo del suo corpo la assoluta risposta: le stimmate sono il segno della morte di Cristo, di una morte sofferta per amore non commensurabile; le stimmate sul corpo del frate cappuccino, allo stesso tempo, sono le feritoie aperte sulla luce della grazia. Feritoie aperte a beneficio delle moltitudini che sanno di avere bisogno di misericordia. Ed oggi so che il volto del santo era respingente per me perché affetto da una sorta di deformità (la fatica piena di speranza di Cristo appeso alla Croce) che mi spaventava quando coglievo solo il dolore e mi sfuggiva l’amore; e che, con le parole di Sant’Agostino (“la sua deformità è la nostra bellezza”), sta prendendo il posto di sirene incantatrici di più evidente, ma insufficiente bellezza, per accreditarsi come unica, fondamentale, vera bellezza.