Niente svolta green, la chiesa d'America investe in carbone e petrolio
Roma. Lo scorso luglio, qualche settimana dopo la presentazione al mondo dell’encliclica papale Laudato si’, l’arcivescovo di Chicago, mons. Blase J. Cupich – prima nomina di peso bergogliana negli Stati Uniti – annunciava che la diocesi dell’Illinois sarebbe stata la prima in terra d’America a marcare la svolta “green”: monitoraggio di consumi energetici e acqua, nonché delle emissioni di gas nell’atmosfera. “Ogni cattolico dovrebbe farsi seriamente carico del problema ambientale, che è un problema etico ineludibile”, sottolineava il presule al quotidiano locale Chicago Tribune. La grande diocesi, insomma, annunciava la volontà di fare da apripista al nuovo corso impostato a Roma da Francesco. Peccato che Chicago sia rimasta sola, stando a quanto rilevato dal Guardian in un’inchiesta tra le diocesi d’oltreoceano. Il punto di partenza è che un buon numero tra le maggiori organizzazioni cattoliche americane investe con regolarità milioni di dollari in società energetiche, da quelle che si occupano di idraulica fino al ben più consistente (e remunerativo) settore petrolifero.
Proprio la diocesi di Chicago – che ospita il maggior numero di cattolici sul suolo statunitense – ha fatto sapere che presto riconsidererà gli investimenti relativi ai combustibili fossili, che oggi ammontano a una cifra pari a 100 milioni di dollari. “Stiamo iniziando a valutare le implicazioni dell’enciclica nelle molteplici aree, inclusa quella degli investimenti”, hanno fatto sapere dalla diocesi retta da mons. Cupich. Il resto delle gerarchie, sparse tra la costa orientale e quella occidentale, stenta però ad adeguarsi. Secondo la Reuters, che ha avuto accesso a una corposa documentazione, diocesi come Boston, Rockville Centre, Baltimora e Toledo (nonché molte del Minnesota) hanno investito negli anni milioni di dollari in azioni sul settore gas e petrolio. La diocesi di Boston – che non ha voluto commentare le notizie riportate dall’agenzia Reuters – nel 2014 aveva 4,6 milioni di dollari in titoli energetici: una cifra pari al 6 per cento dei suoi investimenti complessivi sul mercato azionario. Da Toledo (Ohio) si limitano a osservare che “si sta valutando come rispondere all’enciclica”, mentre da Baltimore, Los Angeles (la più estesa diocesi del paese) e New York ci si trincera dietro un no comment. Negli ultimi due casi non sono disponibili neppure i dati relativi agli investimenti azionari.
[**Video_box_2**]Il fatto è che “c’è uno scontro tra la visione del mondo che ha il Papa e il mondo in cui vivono i vescovi che gestiscono gli investimenti”, ha detto al Guardian padre Michael Crosby, cappuccino di Milwaukee, paladino degli investimenti socialmente responsabili da parte degli enti ecclesiastici. Poi c’è la storia del fronte episcopale americano non in linea con il nuovo corso di Francesco, nonostante le posizioni più rigide si siano col tempo smussate – anche perché il viaggio del Pontefice oltreoceano è imminente e questo è il momento della distensione, non certo della contrapposizione muscolare. “I vescovi sono un gruppo fortemente conservatore, e non sono fiducioso sul fatto che la situazione potrà risolversi in tempi brevi”, ha chiosato Crosby. Se le diocesi rimandano al futuro ogni decisione relativa agli investimenti nel settore energetico, diverse università cattoliche hanno già iniziato a disinvestire dalle società legate all’industria dei combustibili fossili. L’anno scorso è stata la volta della Marianist University of Dayton, mentre quest’anno la Georgetown University di Washington ha annunciato di voler ridurre i propri investimenti nel carbone. Decisione salutata con le ovazioni degli studenti iscritti al prestigioso ateneo. Il leader del gruppo ambientalista 350.org, Yossi Cadan, si compiace di queste decisioni anche se – dice – “gli Stati Uniti non saranno i pionieri in questo campo”.
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