La rivoluzione matrimoniale del Papa per “la salvezza delle anime”
Roma. Il Papa ha riformato il processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità matrimoniale. Francesco cambia, con i motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et misericors Dominus Iesus le norme, come prima di lui avevano fatto solo Benedetto XIV e Pio X. Una decisione “presa con gravità ma anche con grande serenità”, dopo aver anche consultato “quattro grandi esperti i cui nomi rimarranno segreti”, ha spiegato durante la conferenza stampa di rito mons. Pio Vito Pinto, decano della Rota romana e presidente della commissione speciale per la riforma del processo matrimoniale canonico istituita un anno fa. E’ il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i Testi legislativi, a elencare le novità, che sono tante e tutte rilevanti. Innanzitutto, la premessa d’obbligo: “Non si tratta di un processo che conduce all’annullamento del matrimonio. Si tratta di un processo che conduce alla dichiarazione di nullità. In altre parole, si tratta di vedere se un matrimonio è nullo e poi, in caso positivo, dichiararne la nullità”. La nuova normativa – ispirata a un criterio di collegialità – pone al centro il vescovo diocesano, che è giudice nella sua chiesa particolare e che assume un ruolo decisivo nel nuovo processus brevior, il processo breve: trenta giorni (più ulteriori quindici di proroga) per arrivare a sentenza. In questo caso, il vescovo sarà giudice unico. Dinanzi a lui, la causa sarà introdotta da entrambe le parti, “le quali pertanto devono essere entrambe convinte della nullità del matrimonio”. La sentenza, ha chiarito Coccopalmerio, “è emanata dallo stesso vescovo diocesano se raggiunge la certezza morale circa la nullità del matrimonio, oppure da lui la causa viene rimessa a processo ordinario”.
L’appello è sempre possibile, a patto che non sia “meramente dilatorio”. Una struttura, insomma, “molto agile e perciò veloce”, anche se il prelato uditore della Rota, mons. Alejandro W. Bunge, ha auspicato che non si parli di “processo sommario”. Per quanto riguarda il processo ordinario, la novità maggiore è l’eliminazione della doppia sentenza conforme per dichiarare la nullità: “Non è più obbligatorio appellare ex officio a un secondo grado”, anche se nulla toglie che il ricorso sia sempre lecito. Con una precisazione, una “grossa novità”, secondo le parole usate dal porporato canonista: “Se l’appello risulta manifestamente dilatorio”, il tribunale collegiale infatti dovrà “confermare con proprio decreto la sentenza di prima istanza”. Per dirla con mons. Bunge, “l’appello può essere respinto in caso di evidente mancanza di argomenti”. Non ci sono cambiamenti per quanto attiene ai compiti del difensore del vincolo, che avrà sempre il compito di “proporre ogni genere di prove, di eccezioni, di ricorsi e appelli che, nel rispetto della verità, favoriscano la difesa del vincolo sia nelle cause di nullità del matrimonio che dello scioglimento del matrimonio rato, ma non consumato”. Uno snellimento delle procedure che ha incontrato l’opposizione di alcuni settori più conservatori dell’episcopato mondiale, che nei giorni scorsi avevano paventato il rischio di aprire le porte al “divorzio cattolico”. Il decano della Rota rispedisce al mittente ogni ragionamento di questo tipo: “La nostra massima legge, qui perseguita, è la salvezza delle anime”.
[**Video_box_2**]Durante la conferenza stampa è stato affermato che il Pontefice ha deciso di promulgare le modifiche al codice di diritto canonico prima del Sinodo sulla famiglia perché era evidente il consenso pressoché unanime sui cambiamenti da adottare. Una unanimità che, però, non pare sussistere, se si legge il paragrafo 115 dell’Instrumentum laboris diffuso lo scorso giugno: se sull’eliminazione della doppia sentenza conforme non c’erano troppe resistenze, sui poteri da assegnare al vescovo diocesano sì. Si legge infatti che “non riscuote unanime consenso la possibilità di un procedimento amministrativo sotto la responsabilità del Vescovo diocesano, poiché alcuni ne rilevano aspetti problematici”. Per il decano della Rota, mons. Pinto, è fondamentale che i vescovi siano stati investiti di fiducia da parte del Papa che “non fa sconti sul vincolo sacramentale”. Un punto, questo, su cui si è voluto soffermare mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, gesuita e segretario della congregazione per la Dottrina della fede: “Il matrimonio è uno, si possono unire in matrimonio soltanto un uomo e una donna”, ha detto, aggiungendo che “il matrimonio è anche indissolubile, così è stato insegnato da Gesù e abbiamo nei Vangeli numerose testimonianze di questo insegnamento”. Ladaria Ferrer ha però posto l’accento sul rischio concreto che le diverse sensibilità dei vescovi-giudici producano sentenze difformi su casi simili: “Anche se i processi si devono svolgere nelle diverse diocesi, e non potrebbe essere altrimenti, le regole, con le necessarie distinzioni fra l’oriente e l’occidente, sono le stesse per tutta la chiesa. E’ il Papa con la sua autorità che le stabilisce sia per le chiese orientali come per quella latina. Il potere delle chiavi di Pietro rimane sempre immutato”. Il vaticanista americano John Allen ha scritto che la riforma di Francesco annunciata martedì “ridurrà l’enfasi sulla questione della comunione per i divorziati risposati al prossimo Sinodo”. E questo perché “anticipando il compromesso”, il Pontefice ha reso “meno incandescente il dibattito sulla comunione ai divorziati risposati”, garantendo al contempo che “il Sinodo non si impantanerà nella discussione di ciò che potrebbe sembrare un annullamento, perché questo è ormai un fatto compiuto”. A ogni modo, i due motu proprio rappresentano solo un primo passo: “Sembra necessario, oltre a qualche aggiornamento piuttosto di natura dottrinale, una integrazione con canoni sulla famiglia”, ha detto il cardinale Coccopalmerio, osservando che “il codice latino dovrebbe dare spazio non solo al sacramento del matrimonio, bensì anche alla famiglia”. Senza dimenticare, poi, “il problema delle nuove normative civili relative a matrimonio e famiglia, spesso incompatibili con la dottrina e la disciplina della chiesa, però di fatto esistenti” e che hanno un impatto sull’ordinamento canonico. Il problema è come reagire a tali normative. “Un solo caso, tra i più semplici: nelle legislazioni in cui le coppie omosessuali possono adottare, se una coppia omosessuale vuole battezzare il bambino, come si deve procedere?”. Le risposte, è la promessa, non tarderanno ad arrivare.
Editoriali
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