La sinistra dei "Che" Francesco
Roma. Una volta i partiti della sinistra globale, quelli con le sale riunioni dalle poltrone rigorosamente foderate di rosso, infilavano nel loro pantheon ideale i santini laicissimi di Marx (Karl), Lenin e di qualche simbolo locale della lotta contro il capitalismo sfruttatore. In Italia, di solito, si appendevano al muro le foto di Gramsci e Togliatti e, in tempi recenti, di Enrico Berlinguer. Oggi, crollato il Muro, estinti i vecchi partiti falcemartellati, i nouveaux politiciens che quella tradizione cercano di rimettere in piedi alla bell’e meglio sotto loghi rinfrescati, nel pantheon sbattono solo il solare volto di Francesco, il Papa. Perfino Maurizio Landini, segretario generale della Fiom e fondatore della “Coalizione sociale”, s’è buttato in fretta sotto l’ombrello protettivo del Romano Pontefice, che a suo dire rappresenta la “rottura dell’equilibrio tra capitalismo e democrazia”. Un Papa per cui è fondamentale “lottare per il lavoro”, che “è stato capace di “organizzare una manifestazione contro la guerra in Siria”, e che insomma è uno dei suoi al punto che non si può dire “se, nel tornare ai fondamentali, questo Papa pensa che il riferimento debba essere il Vangelo”. E che dire di Alexis Tsipras, l’uomo che voleva rivoltare come un calzino la Grecia depressa e semifallita, facendola diventare una sorta di Cuba del Mediterraneo – Fidel Castro, tuta addosso e cappellino in testa, gli aveva scritto una lunga lettera di entusiasmato appoggio – fece sapere al mondo che “io e Francesco la pensiamo allo stesso modo. Siamo d’accordo sulla necessità di continuare il dialogo tra la sinistra europea e la chiesa cristiana. Bisogna creare un’alleanza ecumenica contro la povertà, le ineguaglianze e contro la logica che porta i mercati e i profitti a sovrastare gli individui”. Parola del leader che aveva aizzato gli animi dei pope ortodossi ellenici quando s’era mostrato dubbioso perfino sul giuramento religioso (con mano sul Vangelo aperto) dei ministri del suo governo.
Un entusiasmo contagioso, a ogni latitudine: dal leader boliviano Evo Morales con i suoi doni originali (si dibatte ancora del Cristo crocifisso su falce e martello consegnato a Bergoglio lo scorso luglio) al venezuelano Nicolás Maduro – che però a giugno non s’è presentato in Vaticano lamentando una fortissima quanto improvvisa otite (ma temendo in realtà una ramanzina papale per quel che accade in patria, con il silenziatore messo alle opposizioni), fino alla schiera di ecologisti liberal à la Al Gore che si sono sentiti come san Paolo folgorati lungo la via di Damasco non appena il Papa ha dato alle stampe l’enciclica sulla custodia del creato. Dei profili teologici del documento e dell’ennesima condanna delle “cosiddette teorie gender” e della pratica dell’aborto poco è interessato ai barricaderi redenti, tra cui spicca la no global Naomi Klein, che della Laudato Si’ ha colto solo le critiche al “capitalismo carbonico” e un invito affinché tutti gli attivisti “che lottano per un obiettivo comune” si uniscano. Pablo Iglesias, leader dello spagnolo Podemos che voleva spazzar via la vecchia politica per sostituirla con il vento nuovo del cambiamento – consistito, dove per ora i sindaci del movimento governano, nel cambiamento dei nomi delle strade e nel pensionamento dei toreri – ha detto che “in Europa si sta registrando un cambiamento di sensibilità, i cui segnali sono i messaggi del Papa Francesco e la elezione di Jeremy Corbyn alla testa dei laburisti inglesi”. “Non sono cattolico, ma quando sento parlare questo Papa sono d’accordo con lui tantissime volte e credo che sia molto coraggioso”.
[**Video_box_2**]Nel cuore dell’estate, anche la britannica Bbc – oltre a questo giornale – s’era posta qualche domanda sull’innamoramento delle sinistre globali, laicissime e da sempre specializzate nel protestare contro i privilegi ecclesiastici, per Jorge Mario Bergoglio. “Non è che questo Papa è comunista?”, s’era domandata la tv di stato d’oltremanica. Per rendere l’idea, la trasmissione aveva preparato una grafica in cui il basco nero di Ernesto Guevara era calato sul volto sorridente di Francesco. Sarà che il Papa, per dirla con il suo mentore, il padre gesuita Juan Carlos Scannone, nutre “riserve sugli Stati Uniti in quanto potenza egemonica”, “preferisce un mondo multipolare” e “critica l’autonomia assoluta di mercato e finanza”, tutta musica per le orecchie dei Corbyn vari, che dell’odio per l’impero yankee hanno fatto quasi una ragione di vita, fin dai tempi in cui studiavano come mettere fiori nei tanti cannoni. Michael Sean Winters scriveva qualche tempo fa, sull’autorevole e liberal National Catholic Reporter, che i progressisti farebbero bene a interiorizzare i discorsi di Francesco nella loro integrità e non scegliendo quel che fa più comodo. Per esempio, notava, “il Papa ha ricordato che la chiesa non è una ong. Il nostro impegno per i poveri è radicato nella nostra esperienza di fede cristiana, e non viceversa”. Il Papa, insomma, gradirebbe assai poco quanto veniva pubblicizzato su alcune bacheche facebook di incalliti mangiapreti entusiasti del Pontefice che non giudica: “Andiamo a nutrire gli affamati, aiutare i poveri, porre fine alle guerre, e poi potremo discutere di religione”.
Vangelo a portata di mano