E il navigar m'è dolce in questa “bellezza disarmata”. Carrón e la fede
C’è un’immagine molto bella, tra le tante citazioni con cui don Julián Carrón tesse la trama dei suoi interventi e dei suoi scritti. Il sacerdote spagnolo che da dieci anni guida Comunione e liberazione la riprende, ovviamente, da una conversazione di don Giussani (anno 1991) con alcuni studenti universitari. E’ la descrizione di un bassorilievo di Andrea Pisano, “La navigazione”, una delle formelle del campanile di Giotto: “Vi si stagliano due discepoli che, fendendo l’acqua del lago, remano, tanto tesi quanto calmi e sicuri, verso l’altra riva: dietro di loro, sulla barca, c’è Gesù. Il cammino, il passaggio, l’attraversata verso il destino diventa infatti possibile solo quando c’è una presenza (se uno fosse da solo a remare, gli si annebbierebbe la vista, subito si fermerebbe)”. E’ un’immagine che sintetizza bene anche la situazione della chiesa di oggi, in mare periglioso, e assai attuale nei giorni in cui Francesco naviga fiducioso verso il Nuovo mondo, in attesa di affrontare i marosi del prossimo Sinodo.
Di che altro possono essere certi la chiesa, o un cristiano, se non di quella che a un certo punto Carrón definisce “la contemporaneità di Cristo”, o meglio “la fede come rapporto con la realtà presente di Cristo”. In questo senso, forse la scultura di Andrea Pisano racchiude anche il sentimento di questi dieci anni di Carrón alla guida di Cl. Bisognerebbe chiederglielo. Anche se l’impressione – forse rimarrà deluso chi aspettava altro, magari un libro sulla “linea politica” – è che il primo libro di don Carrón non sia rivolto tanto ai ciellini, e non parli soltanto di Cl. Parla a ciascuno, al di fuori delle appartenenze, ecclesiali, culturali e perfino religiose: uno dei capitoli è il testo relativo alla presentazione della traduzione in lingua araba del “Senso religioso” di Giussani. Parla insomma di ciò che il cristianesimo può dare, a ciascuno e a tutti, nelle condizioni date del mondo di oggi. “La bellezza disarmata” (Rizzoli, 396 pp., 18 euro) raccoglie, riveduti e ordinati secondo una logica tematica, secondo un tendenziale percorso, alcuni interventi pubblici, dialoghi e scritti nati da occasioni diverse del teologo spagnolo, la maggior parte dei quali non indirizzati a un pubblico specificatamente ciellino. Parla del presente, di come sia possibile vivere oggi (“come possiamo stare al mondo?”), non soltanto, non tanto, da cristiani, ma da uomini. Ora che lo scenario esistenziale, culturale e persino politico dell’occidente è sintetizzabile con l’espressione “il crollo delle evidenze” come cifra “della condizione umana”. Sono i temi affrontati soprattutto nella prima parte del libro (tra l’altro, si tratta degli interventi più recenti, 2014-2015), in cui Carrón si interroga ad esempio sulla possibilità dell’Europa di “intraprendere una strada in cui sia possibile un vero dialogo sui fondamenti”, o un punto di approdo condiviso sulle leggi, o su come si possa “ripartire” dopo l’attentato di Parigi. Ne esce una disamina non solo dello scenario in cui tutti viviamo, ma anche una prospettiva nuova, lo spazio di un nuovo inizio, paradossalmente più libero, per la chiesa.
Lo fa, don Carrón, attingendo spesso a Benedetto XVI, ed è impressionante notare come i giudizi più realisti, taglienti, “disarmati”, per usare l’aggettivo del titolo, sulla condizione dell’uomo contemporaneo siano proprio i suoi: “Il crollo delle antiche sicurezze religiose, che settant’anni fa sembrava ancora reggere, nel frattempo è diventato un fatto compiuto”. O quando, al Bundestag, Papa Ratzinger disse che “alla questione di come si possa riconoscere ciò che è veramente giusto e e servire così la giustizia nella legislazione, non è mai stato facile trovare la risposata e oggi, nell’abbondanza delle nostre conoscenze e delle nostre capacità, tale questione è diventata ancora molto più difficile”. In un altro passaggio, è ancora il Papa ora emerito a indicare la prospettiva per la chiesa nel mondo di oggi: “Ciò di cui abbiamo più bisogno specialmente in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo”. Un crollo delle evidenze rispetto all’io (“tutto ciò che posso dirti con certezza è che io, ad esempio, non ho un io e che non posso e non voglio assoggettarmi alla buffonata di un io”, è una citazione da Philip Roth), che è anche un crollo delle aspettative sulla vita, il futuro, l’impegno, la famiglia. A un certo punto Carrón riferisce un dialogo con una giovane coppia: “Ho paura della mia libertà, nel migliore dei casi non serve a niente e nel peggiore posso causare dolore qualcuno”. Perché fare dei figli? Carrón nota, ad esempio, a proposito delle legislazioni sulla famiglia che il tracollo dell’istituzione matrimoniale è iniziato, ovunque, mentre ancora erano vigenti leggi favorevoli alla tradizionale idea (cristiana) di famiglia. Ciò, dice, non toglie l’impegno dei cristiani per difendere le buone leggi, ma non è il punto risolutore, non sarà il punto della ripartenza.
[**Video_box_2**]E’ insomma, la sua, l’osservazione in mare aperto non tanto di quale possa essere la difesa di un cristianesimo che non c’è più (basterebbe, più di cento anni fa, il cardinale Newman sul cristianesimo ridotto a “dottrine che non sono fatti, ma aspetti stereotipati di fatti”), ma l’osservazione “in opera” del punto da cui ripartire. Cosa può dare senso all’esperienza dell’uomo, tirarlo fuori dalla stretta del suo nichilismo? E’ la possibilità del cristianesimo di riaccadere come un incontro inatteso, personale, persuasivo, con dei testimoni di un incontro. Ma l’essenziale ha bisogno di due fattori, che Carrón rimette in gioco in continuazione. Uno è il “punto infiammato” (Pavese), cioè il desiderio di felicità dell’uomo che non si accontenta degli “infiniti finiti” (Ratzinger) cui di continuo si aggrappa e approda. L’altro è la libertà, (“non c’è altro accesso alla verità se non nella libertà”, si legge in copertina). Che non è solo la libertà intrinseca di ogni persona, ma è anche la libertà che la chiesa ha recuperato, alla fine di un lungo cammino, di proporsi come, appunto, la portatrice di “una bellezza disarmata”. Una risposta credibile, perché non imposta e tutta da verificare, al desiderio espresso in un’altra magnifica citazione scelta da Carrón. E’ di Wittgenstein: “Deve, per così dire, filtrare una luce attraverso il solaio, il soffitto sotto cui lavoro e al di sopra del quale non voglio salire”.
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