Minority Report
Ma quando il Papa parla di “dialogo”, a cosa sta pensando?
Ai vescovi americani Papa Francesco ha detto di essere d'accordo sui contenuti delle loro battaglie per la difesa della vita e della famiglia ma di non condividere i toni duri e la contrapposizione sociale. Meglio il dialogo.
Fin qui, facile. Ma quale dialogo? Dialogo – cioè quando i discorsi sono due – si dice in molti modi, forse persino troppi. Innanzi tutto, i dialoghi hanno posizioni e ruoli, non sempre simmetrici. Alle volte, il dialogo è fra persone che hanno peso diverso: l'arbitro dialoga con i calciatori e il capoufficio con i sottoposti, o il padrone con i dipendenti, ma non sono sullo stesso piano. Per ragioni diverse, non sono sullo stesso piano neanche gli studenti e il professore. Un uomo pubblico che risponde dal palco e da un microfono a critiche private, anche se pensa di dialogare, in realtà impone. Il dialogo con un presidente degli Stati Uniti premio Nobel per la Pace non si presenta molto simmetrico. Ma è pur sempre the “land of liberty”, e parlare e farsi ascoltare dovrebbe essere (quasi) sempre possibile.
In secondo luogo, anche quando i piani sono sufficientemente vicini per permettere a ciascuno di esprimere con libertà il proprio pensiero, rimangono diversi tipi di dialogo. C'è il dialogo che giunge a un compromesso: ciascuno cede un po' del suo e si giunge a un risultato accettabile. E’ dove si esercita l'arte della politica, dal brindisi di Putin all'accordo sul Senato di Bersani. Peccato che questo modello non sia possibile alla chiesa in certe materie, nelle quali non può accettare un compromesso perché una sola vita deve valere più di ogni cosa. Su temi come aborto ed eutanasia i politici cattolici potranno cercare un accordo, ma di certo non i vescovi.
Poi c'è il dialogo "fusione di orizzonti". Prima o poi, parlando, finiremo con il riconoscere le medesime cose come verità. Ma qui si mischiano i problemi di simmetria: riconosciamo una verità perché è la moda, l'opinione dei potenti, la maggioranza? O perché la verità si costruisce insieme? O perché a un certo punto la verità emerge e viene riconosciuta? Sono tutti modelli diversi, dei quali l'ultimo è ottimo per la ricerca scientifica ma di dubbia applicazione per i problemi vitali immediati. Occorre avere molto tempo e non questioni urgenti da decidere e trasformare in leggi. Il Papa voleva dire che forse su certi argomenti basta solo non decidere, secondo una legge di prudenza, lasciando immutate le tradizioni fino a prova contraria?
[**Video_box_2**]C'è poi anche il dialogo del "fratello fortunato". Uno che conosce la verità ma sa che la conosce per un caso fortuito e non per propria bravura, è pronto ad accogliere tutto il buono che trova perché sa che non può che migliorare e affinare le sue posizioni, e che la verità fortuitamente trovata può essere utile a tutti. E’ una delle possibili letture dei dialoghi socratici, forse l'unica simpatica, ed è certamente il tono di molte parti di Agostino. In generale, è un bel modello, identitario e ironico, un po' sul tono di certi racconti ebraici. Voleva dire questo il Papa?
Non lo so, ma mi piacerebbe chiederglielo. Essere precisi aiuterebbe. Ho fatto degli esempi, ma a seconda della considerazione della verità e dei rapporti di forza, i dialoghi sono diversi. A me basta che il dialogo non sia quello fasullo e logorroico, un po' clericale nel senso deteriore del termine, dove ciascuno fa finta di non avere un'opinione e un'identità definita per poi continuare ad andare per la propria strada, cercando con la furbizia di manipolare l'informazione e giungere ai propri scopi, magari distorcendo la storia e schiacciando ogni dissenso. Se il dialogo fosse questo, allora meglio il vecchio onesto conflitto di idee a cui erano abituati i vescovi americani.
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