Sinodo contingentato
Roma. Ci sarà parresia al prossimo Sinodo, si discuterà apertamente e con franchezza di famiglia e di apertura al mondo, ma un po’ meno rispetto allo scorso anno. Oggi in Vaticano il cardinale segretario Lorenzo Baldisseri illustrerà il modus operandi dell’assemblea ormai alle porte (partenza domenica prossima con la messa in San Pietro, avanti per tre settimane e chiusura il 25 ottobre. In mezzo la commemorazione del 50° anniversario del Concilio e quattro canonizzazioni). Il fatto più evidente è che non ci sarà la relazione intermedia, che un anno fa fece aizzare decine di padri sinodali e che fu subito disconosciuta in sala stampa, davanti ai giornalisti di tutto il globo, dal suo stesso firmatario, il cardinale Péter Erdo. Niente relatio perché si partirà subito con i circoli minori, i piccoli gruppi uniformi per lingua che avranno il compito di analizzare, approvare o cassare quanto evidenziato nell’Instrumentum laboris (la traccia di lavoro preparata dalla Segreteria generale) e proposto nel testo che il relatore generale leggerà il 5 ottobre. Dal calendario che il Foglio ha potuto esaminare, spicca una compressione dei tempi per il dibattito generale in aula, che sarà orientato a seconda delle tre parti in cui è organizzato l’Instrumentum. In sostanza, la prima settimana i padri potranno intervenire esclusivamente sulla parte prima e così per le due settimane seguenti. Non sono ammesse eccezioni. La segreteria generale spiega che è “per non andare fuori tema”, ma già diversi membri sinodali votanti hanno sottolineato che in questo modo si rischia di togliere spazio al confronto generale sui temi più delicati e di riservarne troppo a questioni sulle quali il consenso è già ampio. La commissione per l’elaborazione della relazione finale si riunirà già il 9 ottobre. La relazione finale sarà letta in aula e votata sabato 24 ottobre.
Non solo comunione ai risposati
Quel che è chiaro, è che alle tre settimane di lavori seguiranno delle “decisioni”. E’ stato il Papa stesso a dirlo, qualche giorno fa, in una tappa del viaggio negli Stati Uniti. Tesi implicitamente contestata dal cardinale (canonista) Raymond Leo Burke, il quale ha ricordato che il Sinodo non può decidere nulla, essendo esso solo consultivo. Si è creata anche una controversia sulle esatte parole pronunciate da Francesco, dal momento che nel testo originale in spagnolo era riportato “deliberaciones”, tradotto in italiano in “decisioni”. Come un anno fa, sono due gli schieramenti pronti a discettare di teologia e dottrina: da quanti si oppongono a ogni cambiamento nella prassi, ritenendo che dottrina e pastorale non possono essere disgiunte, e chi invece chiede di dare risposte alle “attese che non possono essere disattese” delle grandi masse di fedeli (soprattutto centro e nord europei) che auspicano un maquillage in fatto di morale sessuale cattolica.
Sul tavolo, non solo ostia ai divorziati risposati, ma anche la Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II – testo considerato da molti padri non più rispondente alle situazioni che sono venute a crearsi nell’ultimo trentennio – e, soprattutto, la Humanae Vitae di Paolo VI. Non a caso il cardinale Walter Kasper, peroratore da almeno un quarto di secolo dell’accoglienza ai divorziati risposati, ha ricordato che “Gesù condannava il peccato ma giustificava i peccatori”, strada che consentirebbe dunque di accettare il riaccostamento all’eucarestia di tale categoria di persone. Ma c’è anche chi vede nel Sinodo l’occasione di andare oltre il dibattito sulla comunione. Il vescovo francese Jacques Gaillot, esautorato da Giovanni Paolo II nel 1995 per le sue posizioni pro matrimonio gay, eutanasia, contraccezione, ordinazione femminile e di uomini sposati, è stato ricevuto recentemente dal Papa a Santa Marta. Al termine, ha detto la sua: “Spero che il Sinodo riconosca le unioni omosessuali”.
Editoriali
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