Alegría! Al Sinodo è subito baruffa
Roma. Il Papa ha aperto i lavori sinodali ricordando che l’assemblea inaugurata solennemente lunedì in San Pietro “non è un convegno o un parlatorio, non è un Parlamento o un Senato dove ci si mette d’accordo”. Il Sinodo, ha detto Francesco, “è un’espressione ecclesiale; è la chiesa che si interroga sulla sua fedeltà al deposito della fede, che per essa non rappresenta un museo da guardare e nemmeno solo da salvaguardare, ma è una fonte viva alla quale la chiesa si disseta per dissetare e illuminare il deposito della vita”. Il Sinodo, ha sottolineato il Pontefice, “non è un Parlamento dove per raggiungere un consenso o un accordo comune si occorre al negoziato, al patteggiamento o ai compromessi, ma l’unico metodo del Sinodo è quello di aprirsi allo Spirito Santo”. La sorpresa arriva subito dopo, ancor prima che i reverendi padri prendano la parola per dire la loro – “non più di tre minuti a testa”, ha ribadito perentorio il cardinale Lorenzo Baldisseri, gran visir dell’assise – nel plenum dell’Aula nuova. Poco dopo l’ouverture del cardinale Oscar Rodríguez Maradiaga, che con un sonoro alegría! ha dato il là all’assemblea, il relatore generale Péter Erdo ha messo in chiaro le cose nella sua relazione d’apertura. Niente a che vedere con quanto accaduto un anno fa, quando lesse un testo che subito dopo, dinanzi ai giornalisti, sconfessò attribuendo ogni responsabilità per il contenuto (aperture a unioni omosessuali e ai divorziati risposati) al segretario speciale, mons. Bruno Forte. Stavolta l’arcivescovo di Budapest fissa dei paletti per la discussione delle prossime tre settimane, soffermandosi in particolare sul “vero significato della misericordia”. Gesù – ha detto Erdo – “ha messo in pratica la dottrina insegnata”, e ciò “appare chiaramente negli incontri con la samaritana e con l’adultera in cui, con un atteggiamento di amore verso la persona peccatrice, porta al pentimento e alla conversione (‘va’ e non peccare più’), condizione per il perdono”. Un passaggio centrale della relazione è quello circa l’indissolubilità del matrimonio: nel testo si legge che “i vangeli e san Paolo confermano ugualmente che il ripudio della moglie non può rendere possibile un nuovo matrimonio per nessuna delle parti”, e questo “insegnamento di Cristo sul matrimonio è un vero vangelo”. E’ la premessa per quanto dirà poco dopo circa una delle questioni più delicate – e mediaticamente dibattute – la possibilità che ai divorziati risposati venga concesso di riaccostarsi all’eucarestia. Innanzitutto, ha affermato Erdo, è sì “necessario aiutare quanti vivono in situazioni problematiche e difficili nel discernimento sulla loro condizione di vita alla luce del Vangelo”, ma “questo discernimento non deve accontentarsi di criteri soggettivi, come criteri di giustificazione”. Deve, invece, “collegare la misericordia con la giustizia”.
Il cardinale ungherese ammette la necessità di un “doveroso accompagnamento pastorale misericordioso” per i divorziati e risposati civilmente, “il quale però non lascia dubbi circa la verità dell’indissolubilità del matrimonio insegnata da Gesù Cristo stesso”. E questo perché “la misericordia di Dio offre al peccatore il perdono, ma richiede conversione”. L’impedimento a comunicarsi, ha aggiunto, “non consiste in un divieto arbitrario, ma è un’esigenza intrinseca richiesta in varie situazioni e rapporti, nel contesto della testimonianza ecclesiale”. Nessuno spazio neppure per “la cosiddetta via penitenziale”, espressione che “si usa in modi diversi”. “Detti modi – sono ancora parole di Erdo – necessitano di essere approfonditi e precisati” e “questo può essere compreso nel senso della Familiaris Consortio di san Giovanni Paolo II e riferirsi a quanti divorziati e risposati, per necessità dei figli o propria non interrompono la vita comune, ma che possono praticare la continenza vivendo la loro relazione di aiuto reciproco e di amicizia”.
E comunque, ha osservato Péter Erdo, “l’integrazione dei divorziati risposati nella vita della comunità ecclesiale può realizzarsi in varie forme, diverse dall’ammissione all’eucarestia”. Poche possibilità anche per la prassi ortodossa, che a ogni modo non aveva incontrato molto seguito neppure nel Sinodo straordinario dello scorso anno: “Essa non può essere valutata giustamente usando solo l’apparato concettuale sviluppatosi in occidente nel secondo millennio”. In ogni caso, “alla ricerca di soluzioni pastorali per le difficoltà di certi divorziati risposati civilmente va tenuta presente che la fedeltà all’indissolubilità del matrimonio non può essere coniugata al riconoscimento pratico della bontà di situazioni concrete che vi sono opposte e quindi inconciliabili. Tra il vero e il falso, tra il bene e il male non c’è una gradualità”. E anche “se alcune forme di convivenza portano in sé certi aspetti positivi, questo non implica che possono essere presentati come beni”. La relazione generale non trascura neppure l’attenzione pastorale verso gli omosessuali. Premesso che “ogni persona va ribadita nella sua dignità indipendentemente dalla sua tendenza sessuale”, l’arcivescovo di Budapest ha rimarcato che “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”.
[**Video_box_2**]Un discorso, quello di Erdo, che è parso tutt’altro che in linea con le aperture perorate da Walter Kasper nel concistoro del 2014. John Allen, principe dei vaticanisti americani, non a caso ha scritto che “Erdo è sembrato determinato a chiudere una serie di porte che, a giudizio di molti, lo scorso Sinodo aveva lasciato aperte”. Diversi giornalisti hanno chiesto al porporato se, più che riassumere i contenuti dell’Instrumentum laboris, non avesse indicato una strada ai padri sinodali. “Questa – è stata la risposta – è una fotografia oggettiva” della situazione. Durante l’incontro con la stampa c’è stato anche lo spazio per uno scambio di vedute tra il presidente delegato André Vingt-Trois e il segretario speciale, Bruno Forte. Mentre l’arcivescovo di Parigi avvertiva i giornalisti che “se vi attendete un cambiamento spettacolare della dottrina della Chiesa sarete delusi”, l’arcivescovo di Chieti-Vasto ribatteva: “Non è che ci riuniamo per non dire nulla. Servono nuove modalità d’approccio perché i tempi e le situazioni cambiano”.
Editoriali
Mancavano giusto le lodi papali all'Iran
l'anticipazione