Scena di simposio greco nella Tomba del Tuffatore a Paestum

Il nucleo è l'amicizia

Giovanni Maddalena
Spunti da Platone e Florenskij per una discussione non clericale su famiglia e futuro della società

Un sinodo laico sulla famiglia? Bella idea, purché sia laico davvero e la finiamo di parlare di regole interne della chiesa, con pochissima coscienza di causa. In questi giorni i ruoli sembrano invertiti: i predicatori sono i laici e i tecnici i preti. Tutti a insegnare ai preti come dovrebbero amministrare i sacramenti – di cui pochi sanno natura e dottrina – mentre la maggior parte di loro lavora. Un po’ di orgoglio laico, suvvia. Oltretutto, il come si “dovrebbe essere e fare” è proprio l’essenza di tutte le prediche, e non ha mai convinto nessuno.

 

Il Sinodo laico avrebbe molto di cui occuparsi: la famiglia è un’impresa economica e sociale, un epicentro dei moti della psiche, un groviglio legale, e ovviamente anche un problema filosofico. Da quest’ultimo punto di vista, forse ha ragione il Papa a prenderla dall’inizio: il problema non è vivere insieme per sempre, ma amarsi per sempre. Anche noi laici – nel senso di non preti – potremmo incominciare da qui: da che cosa voglia dire voler bene. E’ in fondo il problema classico del “Simposio” di Platone dove Socrate, invertendo la cultura e la pederastia tradizionali, spiega che l’amore è per natura generativo ma che esistono vari tipi di generazione, quella carnale e quella intellettuale. Da cui discende che tipi di generazione diversa esigono tipi di rapporti diversi: non omologazione ma diversificazione. Se due persone dello stesso sesso, o maestro e allievo come nel caso socratico, si amano, per esempio, non consegue affatto che debbano avere lo stesso tipo di rapporto e lo stesso tipo di istituzioni di garanzia di un rapporto eterosessuale.

 

Da Socrate ne abbiamo fatta di strada. Gli adolescenti sono protetti; l’amore eterosessuale e la stessa riproduzione, l’esclusività e la capacità generativa dell’amare, sono stati messi al centro dell’attenzione; la libertà di scelta e la psicologia della singola persona sono state a mano a mano valorizzate, difese, esaltate. Persino troppo, persino fino agli estremi di considerare l’autonomia della decisione come unico criterio anche per la famiglia, con il rischio di rimangiarci tutte le conquiste fatte.

 

[**Video_box_2**]Tuttavia, c’è qualcosa della considerazione radicale dell’amore fatta da Platone che occorre riprendere e che forse toglierebbe un equivoco di base. Rubo l’idea a Florenskij, grande scienziato e teologo del secolo scorso, padre di famiglia e sacerdote ortodosso. Non è la famiglia tout court che è il nucleo della società, ma è la famiglia in quanto amicizia. L’amicizia è qui intesa come compimento dell’amore, ossia come amore reciproco, dove ciascuno afferma l’altro come bene di per sé e per il mondo, e affermando l’altro comprende se stesso. Questa amicizia è nucleo effettivo della società perché stabilisce una serie di legami profondi dedicati a costruire il bene di tutti: perché l’altro/a che io amo sia se stesso/a, deve esprimersi in tutte le sue potenzialità ed essere riconosciuto/a da tutti. Così si crea un bene oggettivo. Certo, in quest’ottica ci sono tanti tipi di amore che possono essere amicizia, ma quando lo sono veramente introducono essi stessi una riflessione sul ruolo, sulla funzione e sulla legislazione diversa che ogni forma di amicizia richiede, a seconda del tipo di bene che porta alla società. L’alternativa è pensare che non ci sia più una società; l’amare come amicizia, infatti, non può essere una pura scelta individualista, avulsa da tutti e tutto.
Tutto molto serio. Come è seria anche l’ultima nota di Florenskij quando commenta l’amore come amicizia. Che cosa fa finire l’amicizia? Non la gelosia, che come tutto ciò che è autenticamente umano aiuta a conservarla, ma il tradimento della verità, l’andare contro ciò per cui l’amicizia esiste, per tornaconto o per comodità. Ma sulla verità occorrerebbe un altro sinodo, altrettanto laico.

Di più su questi argomenti: