“Sì, sono un fondamentalista”, parla il cardinal Burke
Se per fondamentalista si intende qualcuno che insiste sulle cose fondamentali, sono un fondamentalista. Quale sacerdote, non insegno me stesso e non agisco per me stesso. Appartengo a Cristo. Agisco nella sua persona. Insegno solo quello che Egli insegna nella sua Chiesa, perché questo insegnamento salverà le anime”. Il cardinale Raymond Leo Burke, canonista e da quasi un anno patrono del Sovrano militare ordine di Malta, risponde così alla domanda del Foglio se la sua nota e ripetuta opposizione a ogni mutamento della prassi pastorale in discussione in queste settimane al Sinodo sia tacciabile di “fondamentalismo”. Burke dice di lasciar perdere le etichette, il cui uso “è un modo per scontare una persona e per non considerare la verità di quello che egli insegna o fa. Io sono cattolico romano, spero sempre di esserlo, e, alla fine della mia vita terrena, di morire nelle braccia della Chiesa”. Da oggi è in libreria Divino Amore incarnato - La santa Eucaristia sacramento di Carità (Cantagalli), il suo ultimo libro tutto dedicato al sacramento della comunione. Scrive Burke che l’eucaristia “è un mistero di fede, che edifica la Chiesa”. Un libro che, spiega, “è stato ispirato dagli ultimi anni del pontificato di san Giovanni Paolo II. Negli ultimi due anni del suo ministero petrino, il santo Pontefice ha mostrato una straordinaria preoccupazione per la perdita di fede eucaristica nella Chiesa, una situazione gravissima che egli ha affrontato già dall’inizio del suo ministero petrino. E’ chiaro che al tramonto della sua stagione al Soglio di Pietro egli ha voluto affrontare ancora una volta e con grande forza la situazione, ispirando una nuova evangelizzazione sull’eucaristia quale fonte e più alta espressione della nostra vita in Cristo”.
Di eucaristia si discute e si duella in punta di fioretto da due anni, su libri e giornali e assemblee episcopali. Darla o non darla ai divorziati risposati è il dilemma su cui s’avviluppa il confronto sinodale, con gli schieramenti contrapposti impegnati a individuare un compromesso capace d’evitare ulteriori lacerazioni. Walter Kasper, teologo e cardinale tedesco cui il Pontefice ha assegnato l’onere di tenere la relazione concistoriale sulla famiglia, nel febbraio del 2014, ha ribadito di recente che non si può negare la comunione ai divorziati risposati, dal momento che l’eucaristia “è sempre per i peccatori”. Burke ha le idee chiare: “La posizione del cardinale Walter Kasper non è conciliabile con la dottrina della Chiesa sulla santa comunione e sull’indissolubilità del matrimonio. Certamente, il santissimo sacramento è per i peccatori – che siamo tutti noi – ma per peccatori pentiti. La persona che vive in un’unione irregolare è legata a un altro in matrimonio, e perciò vive pubblicamente nello stato di adulterio, secondo il chiaro insegnamento del Signore nel Vangelo. Finché la persona in un’unione irregolare, cioè in un contesto contrario alla verità di Cristo sul matrimonio, non corregge la propria situazione, non può accostarsi per ricevere i sacramenti, perché non ha manifestato il pentimento necessario per la riconciliazione con Dio”. Eppure se ne discute, e non sono pochi quanti vorrebbero aprire a tale possibilità, anche in nome della misericordia divina che non lascia indietro nessuno. Dice Burke: “Se la Chiesa permettesse la ricezione dei sacramenti (anche in un solo caso) a una persona che si trova in un’unione irregolare, significherebbe che o il matrimonio non è indissolubile e così la persona non sta vivendo in uno stato di adulterio, o che la santa comunione non è comunione nel corpo e sangue di Cristo, che invece necessita la retta disposizione della persona, cioè il pentimento di grave peccato e la ferma risoluzione di non peccare più”.
“Tristemente – aggiunge il porporato – tutta la discussione che ha seguìto la presentazione della tesi di cardinale Kasper, sia prima sia dopo l’assemblea del Sinodo dei vescovi nell’ottobre del 2014, ha già creato una grande confusione tra molti fedeli. Molti preti e vescovi mi dicono che tante persone che vivono in unioni irregolari sono convinte che la Chiesa abbia cambiato il suo insegnamento e che perciò possono ricevere i sacramenti. In una grande città che ho visitato lo scorso maggio, sul portone di una chiesa parrocchiale c’è un avviso in cui si avverte che in quella chiesa i divorziati risposati hanno accesso ai sacramenti. In certi paesi, sembra che diversi vescovi abbiano semplicemente preso la decisione di ammettere ai sacramenti quanti si trovano in un’unione irregolare”. Vede confusione, Raymond Burke: “Non c’è dubbio che la confusione sia già grande, e che la Chiesa, per il bene delle anime e per la sua fedele testimonianza a Cristo nel mondo deve affermare chiaramente il suo perenne insegnamento sull’indissolubilità del matrimonio e sulla santa comunione”.
Il modo per riaffermare tale insegnamento, osserva, è quello di tornare con la memoria al 2003,quando Giovanni Paolo II scrisse “una bellissima lettera enciclica sull’eucaristia, firmata il Giovedì Santo”. In quel testo, “egli ha trasmesso un’istruzione della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, in collaborazione con la Congregazione per la dottrina della fede, allo scopo di correggere i molteplici abusi nella celebrazione della Santa Messa”. Ma non solo, visto che “ha anche convocato l’assemblea del Sinodo dei vescovi sull’eucaristia”, evento che è stato celebrato “dopo la sua morte, sotto la presidenza di Papa Benedetto XVI. Ha anche inaugurato l’Anno dell’Eucaristia per favorire una più adeguata catechesi sulla comunione, una più viva partecipazione nel sacrificio eucaristico, e una più ardente devozione al santissimo sacramento. Papa Benedetto XVI ha proseguito su questa strada di attenzione al sacramento intrapresa dal suo predecessore, conducendo il Sinodo sull’eucaristia e scrivendo una straordinaria esortazione postsinodale, la Sacramentum Caritatis”. Ed è proprio quest’ultima a ispirare, in secondo luogo l’opera del porporato americano. Il rischio di oggi, forse, è di svilirne il senso, quasi facendo apparire la comunione una routine e poco altro: “Non c’è dubbio che, per varie ragioni, il supremo bene con il quale il Signore ha dotato il suo Corpo mistico, la Chiesa, cioè il sacramento dell’eucaristia, da molti nella Chiesa non è visto nella sua realtà tremenda. Quando uno considera la verità enunciata da San Tommaso d’Aquino, secondo cui l’eucaristia contiene tutto il bene della nostra salvezza, è difficile capire come mai tanti si assentino dalla messa domenicale e tanti dichiarino di non ritenere che la sacra ostia sia il vero Corpo di Cristo”.
Ma c’è anche altro, come ad esempio, la difficile comprensione per quel “modo di offrire la santa messa centrato sul sacerdote e sulla congregazione anziché sulla presenza reale di Cristo, assiso alla destra del Padre in cielo, che scende sull’altare per fare presente il suo sacrificio, per offrirci di nuovo il dono di se stesso, come ha fatto per la prima volta all’Ultima Cena, anticipando la sua passione e morte per la nostra salvezza. Se uno crede veramente nel sacramento dell’eucaristia, non rinuncerà a presenziare all’assemblea eucaristica e vorrà dimostrare in modi concreti la sua fede tramite la dignità della celebrazione della santa messa e le devozioni eucaristiche, l’esposizione del Santissimo con la benedizione, le processioni eucaristiche, le visite al Santissimo Sacramento, atti di comunione spirituale durante il giorno, e così via”. Molti anni fa, Joseph Ratzinger notava la crescente partecipazione dei fedeli alla comunione, una tendenza andatasi consolidando nel corso dei decenni. In certe realtà, come gli Stati Uniti, quasi nessuno rimane seduto al proprio posto durante il rito. Il problema, forse, sta anche nel modo in cui si insegna il Catechismo? “Secondo me – dice il cardinale Burke – la principale causa della perdita di fede eucaristica e di tutte le offese offerte al Signore nella sua presenza reale nel santissimo sacramento è una catechesi vacua e perfino erronea che ha pervaso la Chiesa negli Stati Uniti per almeno gli ultimi quarant’anni. Non posso pronunciarmi sulla situazione della catechesi in altri paesi. Già al tempo della mia ordinazione, nel 1975, ho scoperto che i testi di catechesi sull’eucaristia erano gravemente mancanti. Ho insegnato ai bambini, preparandoli per la prima comunione e ho dovuto – fronteggiando anche la resistenza di certi catechisti – lavorare molto per insegnare loro la dottrina essenziale sull’eucaristia e il dovuto comportamento al momento della santa comunione e davanti al santissimo sacramento. Mi ricordo che, nel primo anno, quando domandai ai candidati per la prima comunione che cosa è la sacra ostia, la risposta comune (imparata dai testi della catechesi) fu che è ‘pane speciale’. Quando ho tentato di precisare che, se anche la sacra ostia ha l’apparenza di pane, non è più pane ma il corpo di Cristo, i bambini rimanevano stupefatti: era una cosa che non avevano mai sentito”.
Il fatto – aggiunge il porporato americano – “che alcuni, e forse molti, genitori non insegnassero a casa la verità sull’eucaristia e non assistessero regolarmente alla messa domenicale, ha aggravato sempre di più l’ignoranza della fede eucaristica. Negli Stati Uniti si dice con una certa frequenza che più del cinquanta per cento dei cattolici non crede più nella presenza reale. Ma questo è il cuore della fede cattolica. Chi non crede più nella presenza reale non è più cattolico. La situazione è grave e non può essere corretta se non attraverso una catechesi completa e ripetuta – lungo gli anni dell’infanzia e della gioventù, e anche per gli adulti con l’omelia domenicale – sulla ricchezza della dottrina sull’eucaristia, sul modo di celebrare la santa messa che evidenzia l’azione di Cristo tramite la persona del sacerdote che guida i fedeli nel sacrificio eucaristico. Una catechesi necessaria anche in riferimento alla devozione eucaristica che è stata sviluppata in modo straordinario lungo i secoli cristiani, come Papa Benedetto XVI sottolinea nell’esortazione postsinodale Sacramentum Caritatis”.
Un esempio può essere dato dall’Africa, dove la Chiesa è giovane e dinamica e i numeri delle conversioni sono straordinari se paragonati a quelli dell’occidente stanco e sempre più secolarizzato? A giudizio del cardinale Burke, “come già il beato Paolo VI ha insistito e come san Giovanni Paolo II ha ripetuto durante tutto il suo lungo pontificato, la Chiesa nei paesi del cosiddetto ‘primo mondo’ ha urgentemente bisogno di una nuova evangelizzazione, cioè di insegnare, celebrare e vivere la fede cattolica con l’entusiasmo e l’energia dei primi cristiani e dei primi missionari. La Chiesa giovane e vivace in Africa, per esempio, ci insegna tale entusiasmo e energia fondati sicuramente nell’insegnamento apostolico e nella disciplina che lo salvaguarda e promuove”. Burke torna al Sinodo di un anno fa, dove “si insisteva sull’ammissione ai sacramenti per persone che vivono in un’unione irregolare e sulla necessità per la Chiesa di modificare il suo approccio riguardo le coppie che convivono – che non sono sposate ma che vivono in modo coniugale – e a persone dello stesso sesso che vivono una liaison omosessuale. Secondo me – osserva il cardinale – questa insistenza fondamentalmente sbagliata è ispirata da una falsa comprensione del rapporto tra la fede e la cultura. Se la Chiesa deve andare incontro alla cultura, andare alle periferie, come Papa Francesco ci ha frequentemente esortato, questo incontro con la cultura può essere salutare e fruttuoso solo se la Chiesa agisce e parla con la chiarezza e limpidezza congrua alla sua identità divina e umana. Se la Chiesa non è chiara sulla propria identità e su quello che ha da offrire alla cultura, rischia di contribuire alla confusione”, e questo è “l’errore che sta distruggendo la cultura in molti paesi”. Invece – chiosa Burke – “il suo incontro con la cultura deve essere l’occasione per la riforma della cultura stessa. Cristo, quando ha incontrato la Samaritana al pozzo di Giacobbe, è stato sì molto accogliente ma ha parlato chiaramente a lei sul grave disordine dei suoi molteplici matrimoni e dei requisiti inerenti al culto di Dio ‘in spirito e verità’”. Il nostro interlocutore ripercorre i recenti viaggi in Africa e Asia, compreso quello recente in Sri Lanka: “Sono rimasto molto colpito dalle manifestazioni di fede profondamente cattolica, specialmente di fede eucaristica. Era evidente come i fedeli non avessero gli occhi oscurati o accecati dalla secolarizzazione, che non ha niente da fare con la fede perché è fondamentalmente – come ha affermato Papa Giovanni Paolo II – un modo di vivere come ‘se Dio non esistesse’. Invece, la fede vissuta con chiarezza e limpidezza illumina le ombre della secolarizzazione e ispira una trasformazione”.
[**Video_box_2**]Qualche giorno fa, il Foglio ha ospitato un intervento del filosofo Stanislaw Grygiel, allievo e per molti anni consigliere di Giovani Paolo II. Grygiel sosteneva che al Sinodo è in gioco la natura sacramentale della Chiesa. Burke osserva che “quando i farisei hanno tentato di ingannare Gesù con la domanda sulla possibilità per gli sposati di divorziare, egli ha risposto insistendo che Dio dall’inizio (dalla Creazione) ha fatto uomo e donna per partecipare, tramite la loro unione fedele, duratura e procreativa, la loro una carne, al suo amore divino che è fedele, duraturo e generativo di nuova vita umana. Cristo ha reso chiaro che egli non è venuto nel mondo per cambiare la realtà matrimoniale come Dio Padre l’ha costituito dall’inizio del mondo, bensì per restituirla alla sua verità, bellezza e bontà originale. Per la sua passione, morte, risurrezione e ascensione, Cristo ha elevato il sacramento naturale, quale partecipazione dell’Amore divino, al sacramento soprannaturale, conferendo sugli sposati la grazia di vivere fedelmente, sino alla fine, la verità del loro stato matrimoniale”. “Se la Chiesa cambiasse l’insegnamento sull’indissolubilità del matrimonio sacramentale”, dice Burke, “significherebbe attaccare il matrimonio quale sacramento naturale; il matrimonio come Dio l’ha creato dall’inizio”.
Quanto alle critiche che spesso gli sono rivolte, di essere indisponibile a ogni apertura verso le realtà concrete che trascendono l’astratta dottrina, Raymond Burke sorride: “Sono del tutto aperto al mondo e sono pieno di compassione per la situazione del nostro mondo, che è confuso e in errore sulle più fondamentali verità: l’inviolabilità della vita umana, l’integrità del matrimonio e il suo frutto incomparabile, la famiglia, e la libertà religiosa quale espressione del rapporto insostituibile dell’uomo con Dio. Per questo motivo, vado incontro al mondo con la vera compassione che offre al mondo la verità nella carità. Ho scoperto, durante i quarant’anni del mio sacerdozio, che quello che l’uomo (anche secolare) attende da un prete è Cristo, la sua verità, il suo amore. Un prete che – di fronte alla situazione della cultura odierna – non annuncia con chiarezza la verità, non pratica la carità pastorale e manca nella testimonianza inerente al suo ufficio”.