La battaglia nella chiesa di Francesco
George Pell, cardinale, ha risposto così alla domanda del Figaro sul Sinodo dei vescovi: “Assistiamo alla terza battaglia teologica simbolica tra due teologi tedeschi e dunque due visioni, quella di Kasper e quella di Ratzinger. Questo scontro dura da parecchio. Papa Francesco incoraggia certamente la discussione, ma spero che presto questa stagione si chiuda e che da questo Sinodo emerga la chiarezza”. Pell, australiano massiccio e sanguigno, è stato chiamato, preso anche lui dalla fine del mondo, a un posto eminente di governo della chiesa da Francesco, ma è convinto che il Sinodo non abbia nemmeno l’autorità per decidere che, nonostante il vangelo, il sacramento del matrimonio può essere obliterato offrendo la consacrazione di rito a un divorzio seguito da seconde nozze civili. Per questo il cardinale ha messo in guardia il Papa con la famosa lettera pubblicata da Sandro Magister: guarda, fratello, che i revisionisti della dottrina ti vogliono consegnare una soluzione precostituita, e questo non va bene. Da quale parte militi Pell, nello scontro che “dura da parecchio”, è chiaro.
Pell però non è un sedevacantista disinvolto, una sorta di Antonio Socci in porpora. Fino a prova contraria, fa parte del cerchio magico o comunque della corte papale, a pieno titolo. E’ interessante che abbia chiamato in causa Ratzinger, un Pontefice emerito che ha rinunciato alla funzione ma non al munus petrino, e che infatti, pur nel ritiro conventuale, veste di bianco. Ed è interessante che abbia alluso come a una stagione da chiudere alla antica disputa teologica, particolarmente acuta sui poteri che un Papa ha diritto o no di decentrare alle conferenze episcopali nazionali, tra due teologi tedeschi del rango che sappiamo. Anche un altro collaboratore del Papa gesuita, il cardinale Maradiaga, aveva fatto allusione alla teologia tedesca. Parlava non di Ratzinger, ma del formidabile cardinale Müller, curatore dell’opera omnia dell’emerito e da lui scelto come prefetto per la congregazione della dottrina della fede (l’ex Sant’Uffizio). Avvenne circa un anno, un anno e mezzo fa, quando i portavoce del bergoglismo più spinto, prendendo spunto da una frase di un’omelia pontificale in Santa Marta, avevano irriso gli “specialisti del Logos”. Maradiaga fu anche lui irridente, e apertis verbis parlò del Grande Inquisitore come del titolare di una particolare pesanteur, una incapacità di capire quanto possa essere gaudiosa e leggera la pastorale, a paragone con la teologia, specie se questa sia nelle mani, appunto, di un “teologo tedesco”. A noi, allora, capitò di rilevare che era un modo, e non un modo come un altro, di chiamare in causa Benedetto XVI, specialista del Logos.
[**Video_box_2**]Due indizi non fanno ancora una prova, ancorché concordanti. Non è che dal suo ritiro Ratzinger faccia interventi per procura o sia uno che si può tirare in ballo nel Sinodo per spirito polemico. Lì si è in attesa di un verdetto dello spirito santo, che è tutt’altra cosa. Però viene da dire, anche in seguito alla nuova laudatio concessa da Francesco al compianto cardinal Martini, uomo di dottrina più che di pastorale, che tra papi, papi emeriti e antepapi (antepapa era il gioco di ruolo del gesuita Martini) la cosa si complica. L’unico Papa che c’è, Francesco, se la caverà, non si vede perché dubitarne. Forse il mondo laicista e secolarista, che gli chiede con insistenza di abbracciare l’esistenza moderna così com’è, e di assolverla o beatificarla in nome della santa misericordia (che strani laicisti e secolaristi), sarà deluso. La teologia, che è la filosofia dei credenti, dunque uno scandalo, un paradosso cristiano dei più entusiasmanti (come si può speculare razionalmente intorno a una certezza del credere che sfida ogni ragione astratta?), se la caverà anche lei. Speriamo.
Editoriali
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