Aprire no, discernere sì. Sui divorziati arriva in aiuto Wojtyla
Roma. “Ogni giorno ha la sua pena”, dice padre Federico Lombardi in uno degli ultimi briefing sinodali prima che il gran giorno (sabato) arrivi a determinare quel che sarà su divorziati risposati e altri temi controversi che hanno diviso e continuano a dividere i padri nell’Aula nuova. Così, dopo aver “confermato la smentita” sul presunto tumore benigno al cervello del Papa – “Qui non si sono visti medici giapponesi né voli d’elicottero”, ha sottolineato il direttore della Sala stampa vaticana – si è passati a discutere del tema centrale di giornata: le relazioni dei circoli minori sulla terza parte dell’Instrumentum laboris, quella più delicata che già un anno fa aveva animato dispute non sempre improntate alla fraterna parresìa nel consesso sinodale. Ci si attendeva molto dalla lettura dei testi, anche perché indicativi sulla piega che ha preso la discussione tra i padri e presagio del possibile risultato finale. La sorpresa arriva non tanto dai documenti marcatamente aperturisti pubblicati dai gruppi in lingua spagnola (soprattutto il primo, moderato dal cardinale Rodriguez Maradiaga, dove i divorziati risposati non ammessi alla comunione sono definiti “discriminati” e si chiede che la chiesa “apra le porte”), bensì in quello tedesco moderato dal cardinale Christoph Schönborn. Il testo – lungo, se rapportato ad altri – svetta per raffinatezza, chiarezza e profondità teologica, a dispetto della verbosità a tratti incomprensibile di altre relazioni, ed è stato votato all’unanimità (aspetto sottolineato dal cardinale Reinhard Marx), quindi anche con il consenso esplicito del prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, in palese minoranza nel circolo formato per lo più da aperturisti.
Scorrendo le fitte righe del documento, si capisce perché è stato possibile mettere insieme Kasper e Müller. Sul punto della comunione ai divorziati risposati, in particolare, ben lontani da quanto esplicitato dal card. Walter Kasper nella sua relazione concistoriale del febbraio del 2014, i padri scrivono che “non esistono soluzioni semplici e generali”. La dottrina non sarà certo “un lago stagnante”, ma i dibattiti, si legge ancora, “hanno mostrato chiaramente che sono necessari alcuni chiarimenti e approfondimenti per esaminare meglio la complessità di tali questioni alla luce del Vangelo, della dottrina della chiesa e con il dono del discernimento”. Ed è a questo punto che arriva la frase chiave. Nella fluidità della situazione e delle tensioni presenti, “possiamo però indicare alcuni criteri che aiutano a discernere. Il primo di questi viene dato da Papa san Giovanni Paolo II in Familiaris consortio n. 84”, cioè il paragrafo in cui Wojtyla spiegava che il pastore è chiamato a discernere le situazioni, tra chi ha cercato di salvare il proprio matrimonio ed è stato abbandonato ingiustamente e chi per “grave colpa” ha distrutto un matrimonio canonicamente valido. Il Pontefice polacco menzionava una terza fattispecie, anche questa ripresa dal circolo in lingua tedesca, e coinvolge “coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono oggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido”. In sostanza, dunque, la relazione riprende le “aperture” di cui parlava Müller nella recente intervista a Focus, che sono nient’altro che quelle contenute nella Familiaris Consortio. Ma il testo suggerisce anche un cammino “di riflessione e di penitenza” che potrà contribuire “nel forum internum a prendere coscienza e a chiarire in che misura è possibile l’accesso ai sacramenti”. Niente di generalizzato, dunque; nessuna sanatoria, ma un percorso guidato e regolamentato da paletti chiari. Solo un altro gruppo (dei tredici complessivi) ha menzionato il “foro interno”, ed è il circolo di lingua italiana moderato dal cardinale Angelo Bagnasco. Nella relazione si legge che “i padri hanno convenuto su quattro punti”, relativamente alla questione dei divorziati risposati. In ordine alla partecipazione alla comunione, “ferma restando la dottrina attuale, discernere sotto la guida del vescovo e di presbiteri designati le singole situazioni con criteri comuni secondo la virtù di prudenza, educando le comunità cristiane all’accoglienza”. Tiepidi, invece, i circoli anglofoni: su quattro, tre hanno auspicato la riaffermazione dell’attuale insegnamento (e prassi pastorale), mentre il gruppo moderato dal cardinale Vincent Nichols ha proposto l’istituzione di una commissione ad hoc le cui determinazioni potrebbero essere assunte durante il Giubileo della misericordia. Divisi i circoli francofoni: se quello moderato dal cardinale Robert Sarah ha ribadito la contrarietà a ogni apertura, più possibilisti si sono mostrati i gruppi moderati dal cardinale Gérard Lacroix e da mons. Mauritius Piat.
[**Video_box_2**]Se l’auspicio era di trarre vaticini dalla lettura dei documenti, l’impresa è fallita. Le posizioni sono variegate e complesse: tra chi rimane ancorato a difesa della prassi attuale e chi chiede una rivoluzione vi sono diverse soluzioni intermedie, compresa la proposta di devolvere più poteri alle conferenze episcopali nazionali. Tesi che viene considerata da diversi padri come il corollario naturale al discorso di Francesco in occasione del cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi. La discussione, però, non è finita. C’è persino un padre – di lingua inglese – che ha fatto mettere a verbale che un Sinodo non è titolato a discettare di simili questioni: “Non è un Concilio”.