Chi sono i nuovi vescovi di Bologna e Palermo scelti da Francesco
Sulla cattedra che è stata di Carlo Caffarra dal 2003, il Papa ha scelto Matteo Maria Zuppi, già assistente ecclesiastico generale della Comunità di Sant’Egidio. A Palermo ha mandato il giovane don Corrado Lorefice.
Roma. Il 9 novembre si aprirà a Firenze il Convegno ecclesiale nazionale che darà alla chiesa italiana la linea per il prossimo decennio, con le priorità e direttive nell’èra di Francesco. A pochi giorni dall’appuntamento che vedrà lo stesso Pontefice recarsi nel capoluogo toscano, il Papa ha fornito un primo segnale dell’orientamento che intende dare alla conferenza episcopale italiana – che aveva già avuto modo di scuotere un paio di mesi dopo l’elezione al Soglio di Pietro durante la professione di fede in San Pietro – nominando i nuovi arcivescovi metropoliti di Bologna e Palermo. Sulla cattedra che è stata occupata prima da Giacomo Biffi dal 1984 e poi da Carlo Caffarra dal 2003, Francesco ha scelto Matteo Maria Zuppi, sessantenne vescovo ausiliare di Roma dal 2012 e già assistente ecclesiastico generale della Comunità di Sant’Egidio dal 2000 al 2012. Strettissimo collaboratore di Andrea Riccardi, all’inizio degli anni Novanta fu tra i mediatori nella grave crisi politica scoppiata in Mozambico, la cui soluzione positiva gli valse la cittadinanza onoraria del paese africano.
A Palermo, Bergoglio ha mandato il giovane don Corrado Lorefice, parroco cinquantatreenne di San Pietro a Noto e lì vicario per la pastorale. In entrambi i casi, il Papa ha rifiutato – come la prassi ammette – la terna originaria di candidati che la congregazione per i Vescovi gli aveva sottoposto dopo il lento iter di consultazioni tra il clero locale. Il profilo scelto da Francesco per le due sedi che la tradizione vorrebbe cardinalizie (tradizione che il Pontefice argentino ha già fatto capire che di non considerare troppo) è inequivocabile: non professori né diplomatici di carriera, ma preti cosiddetti di strada che camminano con l’odore delle pecore. Nel suo primo messaggio di saluto alla diocesi bolognese, Zuppi ha citato mons. Romero quando disse che “il vescovo ha sempre molto da apprendere dal suo popolo”. L’invito è a mettersi “assieme per strada, senza borsa e bisaccia, con l'entusiasmo del Concilio Vaticano II, per quella rinnovata pentecoste che Papa Benedetto si augurava”. L’anno giubilare della misericordia imminente diviene l’occasione per dire che “Gesù non condanna ma usa misericordia ‘invece di imbracciare le armi del rigore’, come diceva Giovanni XXIII. Infatti senza ascolto e senza misericordia si finisce tristemente per vedere, come continua Giovanni XXIII, ‘certo sempre con tanto zelo per la religione’, ma solo ‘rovine e guai’”. Don Lorefice ha dedicato, oltre all’attività pastorale a Modica, volumi sul beato Pino Puglisi e soprattutto sul cardinale Giacomo Lercaro e su colui che questi scelse come proprio perito di fiducia al Concilio, don Giuseppe Dossetti. Libri in cui centrale sono i contenuti dell’intervento programmatico e dal sapore profetico tenuto da Lercaro il 6 dicembre 1962 nel corso della trentacinquesima congregazione conciliare: “Chiesa e povertà”, l’auspicio affinché la povertà fosse “l’unico tema di tutto il Vaticano II”.
[**Video_box_2**]Non si tratta di scelte a sorpresa, se si considerano le nomine decise da Francesco negli ultimi mesi per la chiesa italiana. La scorsa estate, ad esempio, aveva mandato a Padova un parroco di Mantova, mons. Claudio Cipolla, anche qui andando a pescare fuori dalla regione ecclesiastica del Triveneto. La linea è chiara: scuotere la chiesa italiana, mescolare le carte, troncare carrierismi e ambizioni di presuli che speravano di intraprendere “scalate alla cattedra”, magari arrivando fino alla porpora. Le due nomine odierne confermano poi che Bergoglio è assai propenso a non compiere troppi trasferimenti di sede, mostrandosi in sintonia con il pensiero fatto proprio qualche lustro fa dal cardinale Bernardin Gantin, per quattordici anni prefetto della congregazione per i Vescovi, in un’intervista alla rivista 30 Giorni: “Quando viene nominato, il vescovo deve essere per il popolo di Dio un padre e un pastore. E padre lo si è per sempre. E così un vescovo, una volta nominato in una determinata sede, in linea di massima e di principio deve rimanere lì per sempre. Sia chiaro. Il vescovo che viene nominato non può dire ‘sono qui per due o tre anni e poi sarò promosso per le mie capacità, i miei talenti, le mie doti’”.