Nozze gay. E discutiamone, no?
Il Sinodo sulla famiglia si è concluso, con vincitori ma anche con non-vinti e non convinti. Però, almeno, s’è capito che era la chiesa che discuteva con se stessa, e non un simposio sullo status dell’etica in occidente. Ad esempio s’è chiarito che il matrimonio omosessuale non era un tema di cui occuparsi, l’ha detto il cardinale Christoph Schönborn, uno dei vincitori morali: “C’è stata una chiara decisione nella relazione finale di non affrontare la questione… La loro definizione di matrimonio non può essere accettata da noi. Capisco che debba essere ordinata sotto il profilo giuridico, ma non da noi qui al Sinodo. Non era qui il tema centrale”. Il tema è centrale altrove, invece: nelle leggi e nelle opinioni degli stati e delle società. Martedì, in Italia, una sentenza del Consiglio di stato ha stabilito che le nozze omosessuali celebrate all’estero non possono essere trascritte nei registri anagrafici italiani, perché – in mancanza di una legge che stabilisca il contrario – quel tipo di matrimonio è privo “dell’indefettibile condizione della diversità di sesso fra i nubendi”. Dice la Consulta che la diversità tra uomo e donna è una “connotazione ontologica” del matrimonio. La sentenza ovviamente smentisce i sindaci che, come Ignazio Marino, avevano deciso di trascrivere quei matrimoni, appellandosi alla validità di un diritto internazionale tutto da verificare. Del resto anche Giuliano Pisapia, sindaco pure favorevole alle trascrizioni, ma uomo di legge meno improvvisato di Marino, ha ammesso di recente che “serve non solo un registro delle unioni civili come può fare un singolo comune, ma una legge che elimini qualsiasi discriminazione”. La questione, ad ogni buon conto, travalica il livello municipale.
E’ in discussione in Parlamento una legge sulle unioni civili (non sul “matrimonio” omosessuale). Ma così come la chiesa può dire che la definizione civilistica del same sex marriage non è sua competenza, si dovrebbe avere il coraggio di dire anche questo: nemmeno una legge fatta di compromessi e pasticciati do ut des, come quella in gestazione, dovrebbe avere l’esclusiva di decidere su una questione tanto importante socialmente e antropologicamente. Men che meno si può accettare (non avendo noi una Corte suprema degna del nome e del ruolo) che siano sentenze della Consulta, o peggio ricorsi di singoli cittadini e iniziative avanguardiste di sindaci, a decidere che cosa una società debba intendere per “matrimonio”, famiglia, adozione e quant’altro. Il Foglio aveva proposto un referendum propositivo sulle nozze gay. Intendeva essere una sveglia alla società e alla politica, per prendere sul serio una faccenda seria. L’impressione è che si continuino a preferire le bellurie e le sentenze. Erica Jong dice che il problema non è il sesso ma la morte. Forse ha ragione.
Editoriali
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