Il Papa è intervenuto al Convegno ecclesiale nazionale in svolgimento a Firenze (LaPresse)

Il Papa scuote la Chiesa italiana: "Sia inquieta, umile e non ossessionata dalla propria gloria"

Matteo Matzuzzi
"Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza". Il Papa lo dice al termine del suo intervento nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze.

Firenze. "Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza". Il Papa lo dice quasi al termine del suo intervento nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze, davanti ai vescovi italiani riuniti per il Convegno ecclesiale nazionale. Francesco premette di non voler dire "come realizzare questo sogno", ma il suo discorso – centrato sul tema dell'assise, "Il nuovo umanesimo in Cristo Gesù" – delinea una rivoluzione per la Chiesa di cui è primate.

 

Basta con "l'ossessione di preservare la propria gloria, dignità, influenza"

Ci sono tre "sentimenti", ha detto Francesco, che "rappresentano la calda forza interiore che ci rende capaci di vivere e di prendere decisioni". Il primo è l'umiltà, che è il contrario della "ossessione di preservare la propria gloria, la propria dignità, la propria influenza", che "non deve far parte dei nostri sentimenti". In secondo luogo, il Pontefice – riprendendo un passo di San Paolo – ha chiesto che si cerchi non l'interesse proprio, ma anche quello degli altri. In sostanza, "più che il disinteresse, dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo, per favore, di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli". Il terzo sentimento citato è quello della beatitudine, "una scommessa laboriosa, fatta di rinunce, ascolto e apprendimento, i cui frutti si raccolgono nel tempo".  Questi tr sentimenti, ha detto Francesco, "ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste".

 

"Inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi"

I rischi però di sviare dalla strada tracciata sono tanti. Bergoglio parla di tentazioni e ne presenta due, a cominciare da quella pelagiana che "spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene". Il pelagianesimo – su cui aveva già insistito in più occasioni - ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso". Dinanzi ai mali o ai problemi della Chiesa, ha aggiunto il Papa, "è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative". La dottrina cristiana, infatti, "non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: si chiama Gesù Cristo".

 

La riforma della Chiesa, ha proseguito ancora il vescovo di Roma, "è aliena dal pelagianismo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività". Da qui l'auspicio perché la Chiesa italiana "si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante". Sia, ha detto, "una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa".

 

"No a una fede dove interessano solo i ragionamenti"

L'altra tentazione è quella dello gnosticismo, che "porta a confidare nel ragionamento logico e chiare", perdendo però la tenerezza "della carne del fratello". Il fascino dello gnosticismo, si legge nel discorso del Pontefice, "è quello di una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti".

 

[**Video_box_2**]"La Chiesa italiana sia protetta da ogni surrogato di potere, immagine e denaro"

La richiesta ai vescovi è quella di "essere pastori" e come tali di non perdere tempo a ergersi come "predicatori di complesse dottrine". Bisogna essere "annunciatori di Cristo, morto e risorto per noi. Puntate all'essenziale, al kerygma. Non c'è nulla di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio". L'invocazione a Dio è perché "protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, di immagine, di denaro. La povertà evangelica è creativa, accoglie, sostiene ed è ricca di speranza". Una raccomandazione data da Francesco, poi, è quella del dialogo, che non significa negoziare: "Negoziare è cercare di ricavare la propria fetta della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti". Infine, la richiesta affinché la Chiesa "sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all'interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune".

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.