"Il terrorismo forse passerà, ma il problema dell'Occidente che non conosce più se stesso rimarrà"
Roma. "L’Europa è in pericolo perché ha dimenticato Dio, e di conseguenza la sua cultura, la sua storia, le sue radici, la sua identità. Il fenomeno del terrorismo di matrice islamica potrà anche essere un fenomeno temporaneo, tutti ce lo auguriamo, ma il problema di un Occidente che non conosce più se stesso rimarrà tragicamente anche dopo". A parlare è il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, in una lunga intervista concessa all'agenzia in lingua tedesca Kath.net. Sarah tocca molti temi, dalla liturgia – le irregolarità nel cui ambito sono dovute "a un problema di fede", visto che "senza una chiara ecclesiologia eucaristica e una cristologia centrata nella santa messa è inutile parlare di 'riforma della riforma'" – al Sinodo sulla famiglia dello scorso ottobre. Ma è necessario partire da quanto avviene nel mondo sconvolto da quella "Terza guerra mondiale a pezzi" di cui più volte ha parlato il Papa. Il porporato guineano spiega che "l'unica via perché si realizzi una convivenza tra le religioni è che si instauri tra tutti un dialogo umano sui valori umani e morali che ci uniscono, come la dignità eminente della persona umana, la vita e la famiglia". Un dialogo teologico, invece, "mi sembra oggettivamente difficile", dice. Sarah va oltre, guarda i luoghi colpiti dagli attentatori a Parigi, tutti posti "che noi riteniamo espressione della 'vita': libertà, che spesso sfocia in anarchia; divertimento; spensieratezza. Ora mi chiedo: l’Occidente è solo questo? E’ solo poter godere di una libertà sfrenata? E’ per questo che tutti dicono 'Je suis Paris', senza capire cosa significhi veramente? Io credo proprio di no", osserva Sarah, che aggiunge: "Ed è questo che la degenerazione di una parte dell’islam, che si concretizza in maniera fallace nello spirito terroristico, colpisce: questi terroristi trovano un ventre molle da colpire, in cui l’assenza di Dio e di identità ci ha reso deboli e senza difese, e quindi neppure capaci di avanzare una proposta di vita positiva che non sia l’assunto 'io vivo come mi pare'".
La "debolezza più grande" dell'Europa, che Robert Sarah definisce "il peccato mortale" è "l'apostasia silenziosa di cui parlava già san Giovanni Paolo II. Ovvero la volontà di costruire un umanesimo senza Dio". E' questo uno degli argomenti forti di "Dio o niente", il libro che il cardinale ha mandato in stampa nei mesi scorsi (in Italia è edito da Cantagalli): "L'Europa e la società occidentale in generale si sono allontanate da Dio, non più e non solo sulla base di un rifiuto della sua esistenza, ma anche, nelle sue estreme conseguenze, sull'indifferenza riguardo al senso religioso. Così – sottolinea – l’affermazione tipica della post-modernità, che nasce con la rivoluzione dei costumi degli anni Sessanta, per cui Dio non esiste, oggi è divenuta 'che ci sia o non ci sia, poco importa: ciascuno è libero di credere ciò che vuole, purché in privato'". Ma "questo significa negare tutto, negare che l’uomo possa ricercare la Verità (in quanto essa sarebbe inutile): infatti poiché tutto è uguale, nulla conta più. Ma questo relativismo è molto peggio del nichilismo. L’occidente perciò oggi vuole vivere escludendo la possibilità di rispondere ai grandi “perché” della vita, senza avere riferimenti al bene integrale, e ai valori della carità e della giustizia. Sempre Papa Benedetto ha detto che 'solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita, solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita'. Ecco – dice Sarah – l’occidente, non solo l’Europa, è in pericolo perché in questo processo di dimenticanza di Dio ha distrutto ciò che il cristianesimo ha dato di più alto e bello: il rispetto della vita, della dignità dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio".
Il problema è poi la "pretesa, spesso violenta, dell'occidente, di esportare questa sua decadenza anche in ciò che occidente non è. Ma chiedo: se la vita non ha non ha nella Verità il suo fine ultimo, ha senso vivere? Dunque io credo che possiamo ripartire solo facendo rientrare Dio nella nostra vita. Dobbiamo riuscire a rimettere Dio al centro dei nostri pensieri, al centro del nostro agire, al centro del nostra vita, all’unico posto che deve occupare, affinché il nostro cammino di cristiani possa gravitare attorno a questa roccia che è Dio, a questa solida certezza della nostra fede cristiana". La soluzione possibile? "Torniamo a pregare. Dobbiamo dare tempo a Dio".
[**Video_box_2**]Oggi, però, pare prevalere la necessità di seguire le mode del tempo. In tutti i campi: "Anche nella chiesa e tra molti sacerdoti, vescovi e cardinali, si ritiene che per andare incontro ai problemi del mondo ci si debba adeguare ad esso, ignorando la parola senza ambiguità di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio e staccando, per misericordia, la pastorale dalla dottrina. E lo si fa per comodità, per non rischiare, per non apparire politicamente scorretti". Questo, afferma Sarah a Kath.net, "si chiama mondanità, che è quanto di peggio possa colpire i cristiani, laici o consacrati, ed è il pericolo a cui ci richiama sempre Papa Francesco. Consiglio a tutti una bella lettura, il romanzo 'Il potere e la gloria' di Graham Greene, per verificare quanto dico. Eppure proprio Gesù ci ha chiesto di essere 'nel' mondo, non 'del' mondo (Gv 15, 18-21). Oggi anziché affermare la bellezza di un sacramento come il matrimonio, la sua apertura alla vita, l’essere base della società di domani, ci incartiamo sulle cose che non funzionano. E’ come se io dicessi che è meglio non costruire una casa per paura del terremoto, pur avendo però gli strumenti per prevenirlo e per rendere quella casa più solida".
Vangelo a portata di mano