Putin ha un alleato in più nella guerra in Siria: il patriarca Kirill
Roma. Per la prima volta, il patriarca di Mosca Kirill ha lodato l’operazione militare russa in Siria. L’ha fatto nel giorno del Natale ortodosso, lo scorso 7 gennaio, in un’intervista alla tv pubblica Russia 1. Kirill ha parlato di “guerra giusta”, definendo le mosse del Cremlino una “difesa della madrepatria”, dal momento che Damasco “è solo apparentemente lontana”. Un discorso che – come dice al Foglio don Stefano Caprio, docente di Cultura russa al Pontificio istituto orientale di Roma – ricalca “un tipico argomento vaticano, che è quello della guerra perpetrata solo a scopi difensivi. Un tema caro alla Santa Sede, meno ai russi”. Forse, ha detto il nostro interlocutore, “gioca un ruolo anche il fatto che l’attuale capo della chiesa di Mosca nutra una particolare ammirazione per la Compagnia di Gesù e stia cercando di strutturare il patriarcato come una sorta di curia romana in salsa moscovita”. Le parole di Kirill assumono rilevanza non solo perché mai prima d’ora era intervenuto sull’operazione bellica in chiave anti Isis, ma anche in quanto tende a riassestare i rapporti con il Cremlino, tutt’altro che distesi: “Sulla questione ucraina, e ancor di più in relazione all’annessione della Crimea, il dissidio con Putin è notevole. Sulla Siria, invece, la sintonia è più evidente”, osserva Caprio, che legge nelle parole del patriarca la volontà di abbassare i toni utilizzati di recente anche da alti esponenti della gerarchia moscovita, che assai poco erano stati graditi ai vertici dello stato. Il riferimento è alla rimozione di alcuni funzionari del patriarcato, tra cui l’arciprete Chaplin, già responsabile del dipartimento per le relazioni tra la chiesa ortodossa di Mosca e la società. “Ha pagato per aver parlato di ‘guerra santa’ in Siria fin da quando i russi hanno messo piede laggiù, lo scorso settembre”, dice Caprio, che fu tra i primi sacerdoti cattolici a entrare nel 1989 nell’Unione sovietica prossima allo smembramento.
“Kirill parla di guerra giusta e non santa, usa quindi un linguaggio più scolastico e meno ‘russo’, cioè meno enfatico”. Si può parlare a ragione di una “doppia interpretazione del nazionalismo ortodosso: da una parte c’è il patriarca che preferisce darne un’idea più spirituale, che punta a un’ortodossia votata a essere faro spirituale del mondo. Ha una visione moderata, spinge sulla difesa dei valori tradizionali, chiede di difendere non solo i cristiani ma anche i musulmani che non hanno nulla a che spartire con il terrorismo. Dall’altra c’è l’ortodossia militante di Putin, più classica”. E’ una situazione – nota Caprio – “che ricorda la guerra ottomana di metà Ottocento, quando a Nicola I, che voleva difendere a tutti i costi il prestigio russo, si contrappose il Patriarcato, sostenitore di posizioni ben più moderate. Questo schema si è rotto sulla Crimea e sull’Ucraina”, e per comprenderne ragioni e implicazioni è sufficiente ricordare che “Mosca rappresenta oggi il settanta per cento degli ortodossi e metà di questi sono ucraini”. E’ da tale quadro, insomma, che deriva l’estrema cautela di Kirill sul tema.
[**Video_box_2**]Che il patriarcato abbia poi poco gradito le frequenti incursioni del presidente in Vaticano non è un mistero, benché non si noti un peggioramento nelle relazioni tra la chiesa ortodossa moscovita e la Santa Sede: “I rapporti sono buoni ma comunque molto freddi e non è un mistero che ci fosse più intesa (specie sul terreno della difesa della famiglia e dei valori) con Benedetto XVI. Non c’è nessun interesse a sviluppare rapporti reciproci, si preferisce in questa fase mantenere lo status quo”, dice don Caprio, che aggiunge: “Di certo, il Patriarcato vorrebbe che Roma si esponesse di più sulla situazione dei cristiani in medio oriente”. Meno diplomazia, insomma. Sulla politica estera l’intesa arriva fino a un certo punto: “La veglia del 2013 per scongiurare i raid occidentali su Damasco segnò una convergenza piena, ma poi non sono state trovate altre sponde”. La stessa cosa vale per la custodia del creato, tema sul quale il Papa “è più vicino a Bartolomeo I di Costantinopoli”, che di certo non ha rapporti idilliaci con Mosca, dove non a caso è soprannominato “il patriarca turco”. E questo, per i russi, non è un complimento.