La Caritas (con sponde in Vaticano) contro l'operazione Nato anti scafisti
Roma. La Caritas italiana boccia senza possibilità d’appello il piano varato l’altra sera dalla Nato – dopo un rapido negoziato tra i governi di Berlino, Ankara, Atene e Washington – volto ad avviare un’operazione di pattugliamento nel Mediterraneo orientale per stroncare il traffico dei migranti diretti verso le coste dell’Unione europea, in particolare della Grecia, ancora assai lontana dall’attivare gli hotspot richiesti dagli organismi comunitari. Il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, ha chiarito “che non si tratta di fermare e respingere i rifugiati”, bensì di promuovere un’attività di “sorveglianza”. Intervistato dal network Radio InBlu, il vicepresidente della Caritas, Paolo Beccegato, ha espresso “preoccupazione” perché “affidare a un’organizzazione militare la tutela dei migranti, l’attenzione ai corridoi umanitari, può essere un problema di competenza e pertinenza”.
Beccegato chiedeva di guardare al cuore della questione, e cioè che “queste persone fuggono da una guerra devastante”. A niente valgono le rassicurazioni giunte dal quartier generale di Bruxelles, tutte tese a sottolineare come nessun barcone sarà rispedito indietro, ma che i profughi troveranno riparo in territorio turco: “La militarizzazione di una situazione gestita con strumenti, personale e strutture militari ha un’impostazione totalmente diversa rispetto a un’altra che avrebbe come obiettivo primario e prioritario la tutela di vite umane”, chiosa il numero due della Caritas italiana, che definisce “discutibile” perfino “l’impostazione di questa operazione”, diametralmente contraria a quella tanto lodata dall’organismo pastorale nostrano, e cioè “Mare nostrum”.
Ridateci “Mare nostrum”
[**Video_box_2**]Non una posizione nuova né tantomeno isolata: se già, infatti, poco più d’un anno fa la Caritas si appellava a Palazzo Chigi affinché non cedesse “alle spinte demagogiche e xenofobe” invitando l’esecutivo italiano a “proseguire con la missione, rafforzando la pressione politica nei confronti dei partner europei affinché contribuiscano a mantenerla in vita sostenendola anche economicamente”, anche in Vaticano la posizione era pressoché la medesima. Il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio per i migranti e gli itineranti, biasimava a fine 2014 la scelta di cassare “Mare nostrum” per dar spazio a “Triton”: prima, sosteneva Vegliò, “andavamo ad aiutare dovunque questi poveri migranti si trovassero, invece questa operazione ‘Triton’ è per difendere i confini, una gran bella differenza, no?”. Una risposta simile a quella data dinanzi all’erezione del muro lungo la frontiera ungherese, sì da bloccare l’afflusso di migranti. Ma l’opposizione più ferma all’operazione della Nato arriva dal Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), che parla di “follia” e rimanda al documento “Ponti non muri” pubblicato solo tre giorni fa. Nel testo si osserva come “l’imperativo” sia “quello di aprire canali, ‘ponti’ per l’ingresso regolare nella ‘fortezza Europa’ per chi necessita di protezione. Ma non “può esaurirsi in un solo strumento in grado di risolvere tutti i problemi. Devono essere creati o ampliati diversi programmi parallelamente. Devono essere potenziati gli strumenti che si basano su quote prestabilite relative al numero d’ingressi dei rifugiati come il reinsediamento, l’ammissione temporanea per motivi umanitari, sponsorizzazioni private”.