I millennial confondono Gesù con Buddha? Si aboliscano le ore di catechismo
Roma. Carola è cattolica e scout: “Quando partecipo ai sacramenti ci credo fermamente, ma non mi riconosco nella chiesa. Per me il rapporto con Dio è individuale”, dice, chiarendo che a lei “la mediazione dei sacerdoti” non piace proprio. Il che la accosta più a Martin Lutero che al Papa, ma sono dettagli, e parecchi tra i novemila under 30 intervistati nell’ambito del progetto che ha sfornato il volume “Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia” (Vita e Pensiero), a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi, presentato lunedì a Milano, la pensano grosso modo così. Un’idea della religione vaga e indefinita, che spesso mischia resurrezione e reincarnazione, fede in Dio Padre e – visto che va di moda, come insegnano Roberto Baggio e Lisa Simpson – in Buddha, che è vegetariano e ricorda le battaglie mainstream del Dalai Lama. Insomma, “ci credo perché spero che ci sia”, è il mantra che va per la maggiore, si legge nel denso rapporto che spesso bolla come “noioso” il cattolicesimo, inteso meramente come un’algida sommatoria di dogmi e precetti e inviti a non saltare le messe (che poi, i cosiddetti millennial saltano regolarmente, salvo sparuti eroici casi). Si perdono, a quanto pare, nei tempi eterni del catechismo, da frequentare una volta alla settimana dai sette ai dodici anni e in qualche caso ai sedici e diciotto, fino alla cresima, vista più come una liberazione che come un compimento d’un percorso di fede.
E’ uno sfiancamento che non lascia nulla, perché poco o nulla, ormai, viene insegnato in quella sorta di doposcuola che di religioso ha ben poco. “I bambini fanno solo disegni e non imparano niente”, osservava amaro lo scorso maggio, parlando al Pontificio istituto Giovanni Paolo II di Roma, il cardinale Robert Sarah, prefetto della congregazione che s’occupa di culto divino e liturgia. “E poi non vanno a messa”, aggiungeva. E’ un problema di fede, certo: “Se si pensa che anche nel rito del Battesimo non si menziona più la parola ‘fede’, quando ai genitori viene domandato cosa si chiede per il bambino alla chiesa di Dio, si comprende l’entità del problema”, chiosava Sarah. Gli esempi non mancano: dal prete che chiedeva a orde di bimbi di sette-otto anni se preferissero ripetere a memoria l’Atto di dolore (che comunque ora per precauzione viene stampato in foglio A4 e appiccicato nei confessionali, sia mai che qualcuno non lo sappia, e il confessore di turno ti ricorda che “lo puoi leggere lì”) o lanciarsi in epiche partite di calcetto nel prato senz’erba dell’oratorio, a catechisti che si credono Joseph Ratzinger intenti a instillare sant’Agostino a ragazzini di prima media che a tutto pensano meno che al santo vescovo di Ippona. O ai catechisti new age che fanno preparare enormi cartelloni con disegni, fotografie e frasi pescate dal repertorio di John Lennon in vista della cresima. Chiaro che poi si diventa para luterani o, quantomeno, ci si forma in testa un’idea strana della religione, guardando magari con tenerezza la nonna che ogni domenica va in chiesa e forse pure a Rosario anziché ripetere Imagine tra una seduta di yoga e l’altra.
[**Video_box_2**]Papa Francesco, ricevendo i catechisti in Vaticano durante l’Anno della fede, aveva detto loro sì di essere creativi, perché Dio stesso “è creativo, non chiuso e quindi mai rigido”. Ma aveva anche esortato a vivere il tutto come missione e vocazione, non come un lavoro: “Badate bene, non ho detto ‘fare’ i catechisti, ma ‘esserlo’”. (mat.mat)