“Non è razzista temere l'arrivo dei migranti”, dice il primate anglicano
Roma. In un’intervista concessa al periodico The House, l’arcivescovo di Canterbury e capo della chiesa d’Inghilterra, Justin Welby – che non è solito concedere troppi colloqui con i giornalisti – è intervenuto sul tema dell’immigrazione, anche in vista del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea in calendario il prossimo 23 giugno. Riferendosi ai timori che serpeggiano nella popolazione, specie dopo le immagini degli enormi accampamenti a Calais occupati da migranti in speranzosa attesa di attraversare la Manica, Welby ha detto: “C’è la tendenza di dire che ‘queste persone sono razziste’, il che è oltraggioso, assolutamente oltraggioso. C’è una reale paura: che cosa accadrà sul piano dell’accoglienza? E riguardo l’occupazione? E nell’accesso ai servizi sanitari? E’ davvero importante che questa paura sia ascoltata e che a essa venga data qualche risposta”.
Il primate anglicano, vertice spirituale di una chiesa che rappresenta circa 85 milioni di fedeli in 165 paesi, è chiaro quando osserva che le preoccupazioni dell’elettorato sull’impatto di queste nuove emergenze sulla comunità britannica “sono legittime”. Welby ha ricordato le sue antiche esperienze come sacerdote in piccole comunità di provincia, dove tali problemi sono avvertiti in maniera ben più forte che in metropoli multietniche come Londra o Birmingham. La paura – ha aggiunto – “è un’emozione giustificata in un tempo di crisi colossale com’è quello in cui viviamo. Abbiamo a che fare con uno dei maggiori movimenti di persone nella storia umana. Enorme. Essere in ansia per questo è del tutto ragionevole”.
Welby non ha preso posizione sul referendum, ma implicitamente ha fatto intendere di pensarla come il primo ministro David Cameron quando ha detto che quella dell’immigrazione “è una sfida enorme che può essere affrontata solo a livello europeo” e che “la mancanza di una soluzione” a livello comunitario non fa altro che “aggravare in modo davvero significativo la crisi”. Un problema così grande, ha sottolineato ancora l’arcivescovo di Canterbury, “può essere fronteggiato solo “con una risposta della stessa rilevanza in Europa, e noi dobbiamo giocare la nostra parte”. Richiesto di dare un’indicazione di voto esplicita, il primate si è però tirato indietro: “Non c’è una visione cristiana ‘giusta’ in proposito; Dio non direbbe di votare in un modo o nell’altro”. Semmai, ha chiosato, “il dibattito dovrebbe essere più centrato sul ruolo della Gran Bretagna nel mondo”.
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