Firmata l'esortazione
Rivoluzione o no? Cosa aspettarsi dal verdetto del Papa sul Sinodo
Roma. Sabato scorso, il Papa ha firmato l’esortazione post sinodale sulla famiglia che sarà resa pubblica entro le prime due settimane d’aprile. E’ il documento in cui il Pontefice tira le somme del doppio Sinodo, facendo capire quale sia il suo pensiero circa le tante questioni dibattute dai padri non sempre in un clima da sala da tè britannica secentesca. Un testo corposo, ha sottolineato entusiasta il cardinale Walter Kasper, peroratore massimo della svolta in nome della misericordia per quanti sono andati incontro a un fallimento nella propria vita: duecento pagine per trecento paragrafi, più del triplo rispetto all’esortazione Familiaris consortio di Giovanni Paolo II, che di paragrafi ne conta solo ottantasei. Kasper, che il documento l’ha visto, ha già parlato di “rivoluzione”, di una “riforma che farà voltare pagina alla chiesa dopo millesettecento anni”. Il Sinodo, insomma, come una sorta di punto e a capo, di inversione totale rispetto non solo alla pastorale familiare di Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI poi, come domandato dai settori più progressisti della chiesa, specie di quelle realtà nordeuropee alle prese con carenza di fedeli, ma anche in rapporto a tutto quel che la chiesa romana è stata dopo il Concilio di Nicea del 325. Ben più prudente è stato invece mons. Georg Gänswein, prefetto della Casa pontificia, che in un’intervista a Deutsche Welle s’è detto convinto che Francesco continuerà sulla strada tracciata dai predecessori” e cioè “secondo quel che dice il Magistero della chiesa. Di conseguenza, ha aggiunto il segretario di Joseph Ratzinger, “nell’esortazione si troveranno dichiarazioni in questo senso”. Tradotto, significa che a giudizio di Gänswein non vi sarà alcuna apertura rivoluzionaria, nessun portone spalancato come auspicato da Kasper nel biennio sinodale – già a partire dal concistoro segreto del febbraio 2014.
Una posizione condivisa anche dal prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller, che nel libro in uscita “Informe sobre la esperanza”, scritto con il sacerdote spagnolo Carlos Granados, rimarca quei paletti più volte fissati sul tema oggetto del Sinodo: “La misericordia non è una rinuncia ai comandamenti di Dio o una giustificazione per sospenderli o invalidarli. Il più grande scandalo che la chiesa può dare è quello di smettere di chiamare per nome la differenza tra il bene e il male, smettendo di spiegare cosa è il peccato e pretendendo di giustificarlo per una presunta maggior vicinanza e misericordia verso il peccatore”. Michelle Boorstein sul Washington Post ha riassunto in poche righe il probabile significato ultimo dell’esortazione di Francesco: nessun cambiamento riguardo l’ortodossia cattolica – che però è da tempo anche la tesi dei novatori, sostenitori di un mutamento della sola prassi pastorale – ma una maggiore attenzione ai “diversi tipi di famiglie cattoliche”, facendole sentirle parte integrante della chiesa. Nulla di nuovo, insomma, anche perché se la “svolta” si riducesse al via libera ai divorziati per fare da padrino al battesimo, sarebbe ben poca cosa rispetto alle “attese che non possono essere disattese” di cui parlò Kasper.
Il Washington Post prevede la conferma – messa nero su bianco dal Papa – della linea uscita vittoriosa dall’appuntamento sinodale dello scorso ottobre, con un coinvolgimento del confessore e del vescovo diocesano nel valutare chi può essere riaccostato ai sacramenti. Secondo il biografo papale, Austen Ivereigh, alla fine l’esortazione sarà un documento in cui troverà spazio di tutto, in cui ogni sfida alla famiglia sarà enucleata, tenendo ben presente “il quadro giuridico e culturale ostile” figlio “della società occidentale contemporanea”, e cioè quella “colonizzazione ideologica” contro cui più volte il Pontefice s’è scagliato. E’ ottimista, Ivereigh, e non prevede rivoluzioni: “L’esortazione sarà un tributo edificante alla bellezza della vita familiare, offrendo sostegno e conforto a quanti lottano contro i feroci venti contrari del mondo contemporaneo”. Inutile, insomma, ridurre tutto alla mera questione della comunione ai divorziati risposati, come peraltro già Francesco aveva detto in un passaggio della conferenza stampa in aereo di ritorno dal viaggio in Messico, lo scorso febbraio: “Io conosco cattolici risposati che vanno in chiesa una volta l’anno, due volte: ‘Ma, io voglio fare la comunione!’, come se la comunione fosse un’onorificenza”.
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