Pazza idea: la guerra giusta all'Indice
Roma. Il presidente del Pontificio consiglio Giustizia e pace, il cardinale Peter Turkson, porterà formalmente al Papa la richiesta di “non citare né insegnare più” la teoria della guerra giusta. E’ questo il risultato emerso dalla conferenza sulla non violenza organizzata da Pax Christi international che si è tenuta in Vaticano, con il sostegno dell’organismo guidato da Turkson. Nella dichiarazione finale del convegno, infatti, si legge che “ogni guerra rappresenta una distruzione e non c’è giustizia nella distruzione di vite e beni”. I partecipanti all’evento – tra cui ottanta teologi – hanno convenuto che con i moderni metodi bellici parlare di guerra giusta è impossibile e chiedono al Pontefice di promulgare al più presto un’enciclica sulla pace e la non violenza: “La parola di Dio e la testimonianza di Gesù non dovrebbero mai essere usate per giustificare la violenza, l’ingiustizia o la guerra. Riteniamo che il popolo di Dio abbia tradito questo messaggio centrale del Vangelo molte volte, partecipando in guerre, persecuzioni, oppressioni, sfruttamento e discriminazione”.
Il cardinale Peter Turkson (foto LaPresse)
Subito, soprattutto oltreoceano, si è aperto il dibattito. Il conservatore National Catholic Register scrive che se l’auspicio di Turkson fosse accolto dal Papa si tratterebbe di una sconfessione di s. Agostino, Gregory Brown dello Swarthmore College ricorda che “il catechismo della chiesa cattolica prevede una definizione della teoria della guerra giusta, e cioè la legittima difesa attraverso la forza militare”. Ci sono, aggiunge Brown, quattro criteri per giustificare lo ius ad bellum: innanzitutto la prova di un danno certo, grave e duraturo inflitto da un aggressore a una nazione o comunità di nazioni. In secondo luogo, il fatto che quanto messo in pratica per fermare il conflitto si sia dimostrato inefficace, che vi siano reali possibilità di successo e che l’uso delle armi non produca mali peggiori rispetto a quello che si vuole eliminare. “Non è necessario essere cattolici – argomenta Brown – per riconoscere la plausibilità di questi princìpi. E’ difficile immaginare argomentazioni secondo le quali una guerra è ingiustificabile per principio. Il punto è che ‘non tutti i problemi che affliggono oggi il mondo sono risolvibili attraverso soluzioni non violente’. Daniele Menozzi, storico della chiesa e autore tra le altre cose di “Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso la delegittimazione religiosa dei conflitti” (il Mulino, 2008), notava in una conversazione con il Foglio che la teoria della guerra giusta adottata dalla chiesa cattolica ha sempre avuto “un certo margine di ambiguità”. In particolare, “sappiamo anche che la guerra è giusta se non si mettono in pericolo vite innocenti. Il punto è: fino a che limite si può fare la guerra senza toccare vite umane?”. L’esempio classico cavalcato dai fautori del bellum iustum risale ai primi anni Novanta, quando Giovanni Paolo II, dinanzi alla mattanza nei Balcani, disse che “l’intervento umanitario nelle situazioni che compromettono gravemente la sopravvivenza di popoli e di interi gruppi etnici è un dovere per le nazioni e la comunità internazionale”.
Un decennio più tardi, il grido contro la guerra in Iraq stemperò la portata dell’appello pronunciato in occasione del conflitto in Yugoslavia”. Il fatto è che – diceva Menozzi – i criteri di legittimazione della guerra sono andati progressivamente restringendosi, man mano che questa diventava una questione che riguardava sempre più le popolazioni civili. Si sono erose le basi da cui si partiva per giustificare da un punto di vista religioso un conflitto”. Un processo che si è protratto per tutto il Novecento e che forse oggi è giunto alla meta, se è vero che lo stesso Bergoglio, all’indomani delle stragi di Parigi, aveva chiarito che “la violenza è contraria alla legge evangelica e quindi mai giustificabile”. Resta da vedere come questo percorso sia coniugabile con la linea fin qui portata avanti dal Vaticano, spiegata ancora pochi mesi fa dal segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin: “La Santa Sede afferma la legittimità di fermare l’ingiusto aggressore. Poi, sulle modalità, è la comunità internazionale che deve trovarsi d’accordo e trovare le forme per farlo”. Parlando della minaccia jihadista, Parolin aveva osservato che “uno stato ha il dovere di difendere i suoi cittadini da questi attacchi – passaggio ripreso pure nel messaggio inviato a Turkson da Francesco in occasione della conferenza sulla non violenza, ndr – e nello stesso tempo continuare a lavorare perché si crei un clima di intesa, di dialogo e di comprensione”.
Editoriali
Mancavano giusto le lodi papali all'Iran
l'anticipazione