Donne diacono, sono più le chiusure che le aperture del Papa
Roma. Perfino il cardinale Walter Kasper, massimo ispiratore delle riforme teologiche del presente pontificato, e non solo per aver tenuto la lunga relazione che ha introdotto tra la curia riunita in concistoro il doppio Sinodo sulla famiglia, si mostra perplesso sulle conseguenze dell’apertura del Papa a riprendere in mano il dossier sulla possibilità di istituire un diaconato femminile, sul modello della chiesa delle origini. Innanzitutto perché se è vero che Paolo nella Lettera ai Romani parla di “diaconesse”, “il problema è stabilire che cosa intende”, nota Kasper, aggiungendo che sul punto i pareri sono i più disparati. La questione è ancora aperta proprio in virtù dell’impossibilità a ricostruire quale fosse la reale situazione nella chiesa primitiva. Francesco ha risposto a braccio, mostrandosi disponibile a istituire una commissione di studio per chiarire quella che egli stesso ha definito situazione “un po’ oscura”, ammettendo di non avere alcuno strumento per poter dire sì o no alla richiesta specifica della religiosa che gli ha posto la domanda: “Credo – ha detto il Pontefice – che chiederò alla congregazione per la Dottrina della fede che mi riferiscano circa gli studi su questo tema, perché io vi ho risposto soltanto in base a quello che avevo sentito da questo sacerdote che era un ricercatore erudito e valido, sul diaconato permanente”. Niente di più, anzi. Ieri pomeriggio sia il Sostituto della segreteria di stato, mons. Becciu, sia padre Federico Lombardi, hanno chiarito che “il Papa non ha detto che abbia intenzione di introdurre un’ordinazione diaconale delle donne”. Papa che – ha aggiunto Becciu – si è detto “sorpreso” per il clamore suscitato. Da lui, infatti, non vi era stata alcuna riflessione dal complesso taglio teologico, nessuna valutazione nel merito. Solo la conferma dell’importanza del ruolo della donna nella chiesa e della necessità di concedere a essa uno spazio più incisivo anche nella governance vaticana, come più volte sottolineato da Francesco e dai suoi immediati predecessori (la lettera apostolica Mulieris dignitatem sulla dignità e la vocazione della donna fu promulgata da Giovanni Paolo II nel 1988) . Incarichi pronti e possibili, a patto che non si cada nella clericalizzazione, che è cosa ben diversa, aveva sottolineato pochi mesi dopo l’elezione, dalla valorizzazione. Aspetto, quest’ultimo che è invece pienamente spiegato da quanto Francesco disse a bordo dell’aereo che lo riportava in Italia dopo la Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro, quando spiegò che “una chiesa senza le donne è come il collegio apostolico senza Maria”.
Il vero nodo, ammesso che la nuova commissione venga costituita e porti a qualche risultato (i tempi sono imprevedibili, considerati anche i precedenti che a nulla hanno portato), è il sacerdozio femminile. Il Papa, più volte, ha già detto che la questione “è chiusa” e nel sottolinearlo si è rifatto a quanto messo nero su bianco da Giovanni Paolo II più di vent’anni fa. E pure Kasper concorda quando spiega di non poter “immaginare che Francesco cambi quella decisione”. Anche perché il Papa, nell’udienza concessa all’Unione internazionale delle superiore generali, si è mostrato poco propenso a cambiare quelle questioni “liturgico-dogmatiche” che pure da più parti si vorrebbe veder aggiornare. Un esempio in tal senso l’ha dato la responsabile dell’inserto femminile dell’Osservatore Romano, la storica Lucetta Scaraffia, già uditrice delusa all’ultimo Sinodo ordinario sulla famiglia, che nel definire “super rivoluzione” la domanda posta dalla suora sul diaconato, ha parlato di “tempi che cambiano”. Bergoglio, infatti, ha chiuso alla possibilità – che a molti osservatori pareva la più semplice da far passare – che le donne tengano l’omelia durante le celebrazioni eucaristiche. “Non c’è alcun problema che una donna – una religiosa o una laica – faccia la predica in un Liturgia della Parola”, ha premesso il Papa: “Non c’è problema. Ma nella celebrazione eucaristica c’è un problema liturgico-dogmatico, perché la celebrazione è una – la Liturgia della parola e la Liturgia eucaristica, è un’unità – e colui che la presiede è Gesù Cristo. Il sacerdote o il vescovo che presiede lo fa nella persona di Gesù Cristo. E’ una realtà teologico-liturgica. In quella situazione, non essendoci l’ordinazione delle donne, non possono presiedere”.
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